Nel paese della Maremma toscana, “troppo famoso per essere citato”, tra gli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta ho passato lunghi periodi con la mia famiglia, ed è stato un vero e proprio tuffo nel passato la lettura de Il giardino dei mostri, di Lorenza Pieri (Edizioni E/O).
Una famiglia di allevatori di cavalli e una famiglia romana (oggi verrebbe definita probabilmente radical chic) si incrociano in Maremma, in un luogo perfetto, tra collina e mare, per rappresentare i cambiamenti dell’Italia. Crollava il Partito comunista, arrivava Tangentopoli, politici edonisti, arricchimento dionisiaco di denaro, personaggi tutti d’un pezzo trasfigurati in ambigue e poco stimolanti icone sessuali, stratagemmi per cancellare la memoria.
L’autrice traccia uno spaccato reale, muove personaggi dalla psicologia debole in un paesaggio brullo e bellissimo, ricostruisce il Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle, con le sue magie e i ricordi dell’artista franco-americana. Un’opera che si ispira al Parc Güell fatta di 22 sculture monumentali – alcune delle quali abitabili – influenzate dagli arcani maggiori dei Tarocchi, costruite in cemento armato e ricoperte da un mosaico di specchi, vetri e ceramiche colorate e che nel romanzo diventano metafora degli stati d’animo della fragile 15enne Annamaria e della sua percezione del mondo che la circonda, con i suoi conflitti, l’amore, i rancori e la dolorosa, ma necessaria, maratona per diventare adulta.