Uno dei (tanti) incontri mancati nella società italiana recente è stato quello tra la tradizione cattolica del nostro paese e quella orientale portataci in casa, letteralmente, dalle tante aiutanti domestiche (leggesi, badanti) provenienti da Romania, Moldavia, Bulgaria e dintorni che accudiscono i nostri anziani o svolgono le faccende di casa Un'occasione di sana contaminazione che non ha avuto luogo. E molto abbiamo perso, in ricchezza culturale, spirituale e religiosa. Succederà lo stesso con l'ondata migratoria, ormai non più emergenziale ma decisamente strutturale, che arriva dall'Africa subsahariana? Sapremo cogliere il positivo e l'intrigante che arriva dalle culture e dalle spiritualità africane, facendo sì che esse diventino un pungolo per il nostro vivere, a volte privo di slanci verso l'Alto? Sembra questa la domanda che soggiace al nuovo racconto lungo di Eric-Emmanuel Schmitt, lo scrittore francese noto per la brillantezza dei suoi dialoghi e la varietà di soggetti delle sue invenzioni letterarie: dal Gesù de il Vangelo secondo Pilato all'Hitler narrato ne La parte dell'altro. In Félix e la fonte invisibile Schmitt continua il suo "ciclo dell'invisibile", una serie di racconti nei quali scandaglia le spiritualità di diverse tradizioni religiose. In questo caso la storia è ambientata a Parigi, anzi in una micro-Parigi che è il caffè di Fatou, una donna senegalese che vi abita con il figlio Félix (il padre di quest'ultimo, e compagno d'avventura amorosa della donna, si palesa a metà racconto). Una micro-Parigi in cui albergano sapienti d'antichità e donne vietnamite, transessuali dedite al commercio del proprio corpo e Bamba, misterioso senegalese di cui non si sa l'occupazione. Già in questo pittoresco miscuglio di umanità si rintraccia quel senso di comunità tipico delle società africane, improntate al senso di ubuntu, "io sono perché noi siamo", nella quale l'accoglienza del singolo diventa più importante del giudizio sulla persona. Fatou è caduta nella depressione che l'ha portata all'apatia rispetto alla vita gioiosa e comunitaria che la rendeva non solo padrona del suo caffè a Belleville ma anche punto nevralgico di quel sentire comunitario che aggregava uomini e donne intorno al suo bancone. L'unico modo per farla tornare la donna che era è riandare alle sorgenti del suo essere, nella sua Africa ancestrale, dove infatti la portano l'occasionale amante (che si scopre però profondamente innamorato di lei) e il figlio Félix. E lì le pratiche spirituali di uno sciamano locale riportano alla vita la donna («i riti servono a dare sostanza allo spirito» gli ricorda lo sciamano). Il racconto di Schmitt ci offre un piccolo insegnamento: nella nostra società meticcia non è cosa fuori luogo avvicinarsi ad altre spiritualità che intessono culture e società lontane. Lo testimoniano i tanti - volontari, viaggiatori, missionari - che sono stati in Africa, luogo che emana un altro modo di vivere rispetto all'Occidente. Lo sciamano guaritore lo rammenta al parigino Félix: «Guarda oltre il visibile. Guarda l'invisibile. Cerca lo spirito che fa apparire tutto dietro l'apparizione. E nutriti della forza del mondo che lo ispira. La fonte invisibile è dappertutto, e ovunque tu sia puoi sempre vederla. Chi guarda bene, alla fine vede»