Un poema in prosa. Una storia d'Europa. Che cerca di dare senso e futuro a questa storia. L'Europa figlia delle barricate del 1848. Dei giovani resistenti al fascismo e al nazismo. Dei giovani del maggio 1968. Dei fermenti e delle sollevazioni nei paesi dell'Est. Di Jan Palach. Dei giovani a cavalcioni del muro di Berlino nel 1989. E l'Europa efferata della rivoluzione industriale, del colonialismo, della carneficina delle trincee prima e dei bombardamenti a tappeto poi. L'Europa dove si consuma il più grande, inimmaginabile, insensato oltraggio che l'uomo abbia fatta all'uomo, in nome della razza, del predominio, della superiorità. E l'Europa della Guerra fredda. Poi, l'Europa della fotografia della firma del Trattato di Roma: uomini apparentemente senza carisma, tutt'altro che "capi", perché ce ne erano stati troppi con esiti osceni, che si mettono a tessere una unione progressiva, senza slanci, grigia all'apparenza. Ma lentamente efficace, all'insegna del "mai più guerra". E si è andati avanti, con poco entusiasmo ma mettendo in piedi uno spazio in cui i confini, sinonimo di sangue, di contesa e sopraffazione hanno via via avuto sempre meno senso. Uno spazio tutt'altro che veramente integrato, confuso, difficile da definire, eppure libero, produttore di diritti. Ma oggi, ci dice Gaudé, questo non basta più. Come dovunque, i tempi recenti hanno escluso troppi, e troppi l'Europa vuole escludere, lasciare che muoiano in mare o rimangano a in miseria nei paesi per decenni spremuti dall'Occidente. È il momento della collera, della visione, di un nuovo, si direbbe, "paradigma europeo". Può aiutare forse l'idea della decrescita, o di "una grande zona a economia moderata".