Chi era Thomas Müntzer? Che cosa l’ha spinto a mettersi alla testa di un esercito di disperati nella Germania del primo Cinquecento sfidando i principi e andando incontro alla propria morte? Il libro di Éric Vuillard, La guerra dei poveri (tradotto da Alberto Bracci Testasecca per e/o) parte dalla morte per impiccagione del padre di Thomas quando lui aveva undici anni e lo segue nella sua attività di predicatore che interpreta i Vangeli in senso letterale, credendo in una “cristianità autentica e pura”. Tessitori e minatori di Zwickau lo ascoltano e Müntzer viene cacciato dalla città. In Boemia redige Il Manifesto di Praga. “Vuole farla finire con la pompa e il lusso sfrenato. Vizio e ricchezza lo opprimono, e i due insieme lo prostrano. Vuole fare paura.” Per un anno e mezzo fa una vita errante, scrive al grande elettore Federico alzando il tiro, si stacca dagli altri predicatori, cerca di organizzare la rivolta e ne viene travolto. I principi reagiscono, hanno uomini agguerriti e ben armati. Si compie un massacro, il predicatore è catturato, torturato e infine decapitato. Si diffondono voci su una sua confessione. Ha solo trentacinque anni.
«Si ritrovava lì perché non era bravo ad odiare, perché era andato a cercare troppo lontano da sé le ragioni della propria esistenza e aveva trasformato l’odio in una fede amara, perché aveva fermamente sentito la forza del segno =, e perché l’unico modo per ottenere più pane e libertà era prenderseli con la forza».
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