Thomas Müntzer ce l'aveva con tutti. Con il Papa, con la chiesa, con il latino, con i principi, re e baroni vari. Perfino con Martin Lutero, che pure non diceva cose troppo dissimili da quelle che urlava lui, nelle piazze e nei pulpiti. Ha fatto una brutta fine, come tanti rivoluzionari del suo calibro, martire direbbe qualcuno. Éric Vuillard ne racconta la breve esistenza terrena, lo fa con maestria e arguzia. D'altronde ha vinto un Premio Goncourt ("L'ordine del giorno", nel 2017) sa come si fa. Il risultato è godibile. È il racconto di un uomo che ha vagato in mezzo alle masse esasperate, uomini e donne che si decisero a lottare per più pane e libertà, due costanti delle rivoluzioni che hanno attraversato l'Europa nei secoli. L'epicentro qui è l'attuale Germania, allora divisa in mille e più principati, terreno fertile per rivolte che mischiavano la fame alla religione, Cesare e Dio. Rivolte quasi tutte finite male. "La guerra dei contadini era cominciata in Svevia, vicino al lago di Costanza, poi si era spinta verso il Tirolo e il nord. Era stata una successione di sommosse, e non solo contadine, anche urbane e operaie. Müntzer si era rivolto al povero, e per un attimo aveva cercato di unire la folla degli scontenti". Quella di Müntzer è dopotutto la lotta per un'utopia, lo si capisce bene quando Vuillard - che parteggia per lo sciagurato protagonista, fin troppo verrebbe da dire - sottolinea la sua rabbia, l'impeto di scrivere lettere severe, la foga ingenua con cui rispondeva ai nobili che volevano spiegazioni ai suoi gesti così clamorosi e irriverenti, l'innocente dichiarazione che nulla sarebbe potuto cambiare "in via amichevole". Sapeva insomma che la sua lotta - non ideale, ma concreta, perché "Müntzer è un violento", "delira", "invoca il Regno di Dio qui e ora", "è impaziente" - sarebbe finita sotto la mannaia del boia. Eppure non si sottrae al destino: riscattare l'uomo comune e il suo orizzonte terreno. Predicare (in tedesco) la Parola di Dio, sfidare dogmi e sacramenti, redimere il più possibile. E liberare, anche a costo di usare - come farà - il gladio. "Immaginate quindi la brutta impressione che devono aver fatto le parole poveri laici e contadini in mezzo a termini come scellerati, gladio, rovine o sgozzateli. I principi non apprezzano". Ha perso la guerra, senza dubbio. Ma ha lasciato un segno che altri - molti altri - dopo di lui avrebbero raccolto. Proletari di tutto il mondo unitevi è uno slogan geniale che sulla sua bocca sarebbe stato perfetto.