Ondate di rabbia populista si abbattevano su tutta l'Europa. Dall'Inghilterra alla Catalogna, dalla Francia all'Olanda, all'Austria, alla Boemia e all'Ungheria si estendevano le rivolte dell'"uomo comune", stufo di essere subissato da tasse odiose, dalla boria dei privilegiati. Misero a ferro e fuoco città e castelli. Bruciarono gli atti notarili, poi i notai, poi, ciascuna delle parti, i propri avversari ideologici. Non mancò la strategia della tensione: piovvero accuse di reclutare bande di vagabondi e criminali per mettere in cattiva luce gli avversari. L'Italia non venne risparmiata. Ma dove le cose si spinsero all'estremo, e andò a finire peggio che altrove, fu, come al solito, la Germania.
È l'argomento dell'ultimo récit (in francese racconto, narrazione, qualcosa di meno che romanzo, qualcosa di più che storia) di Éric Vuillard, tradotto da e/o col titolo La Guerra dei poveri. Tratta di vicende del Cinquecento, delle sollevazioni contadine del loro principale profeta e leader, Thomas Müntzer. Ma il lettore vi ritrova qualcosa della nostra attualità. È lo stesso Vuillard ad ammettere che qualcosa di quelle antiche rivolte, della loro rabbia cieca e violenta, si ripresenta in movimenti come i gilet jaunes, nelle intransigenze, nella violenza del linguaggio, negli eccessi: «Se ne scrive in generale come di qualcosa che è finito... Io al contrario ho avuto la sensaziòne di scrivere una storia che non è finita... Ne deriva anche il modo di scriverla. Sia io che ne scrivo, che il lettore, finiamo per essere inevitabilmente coinvolti... ».
In effetti Vouillard non è uno storico ma un narratore. Che racconta con uno stile irresistibile. Ha mietuto premi prestigiosi. Nel 2017 il suo L'Ordine del giorno, che narra dell'incontro, nel febbraio 1933, di 24 grandi industriali e banchieri con Hitler appena divenuto cancelliere e della successiva annessione dell'Austria nel 1938, ha ricevuto il Goncourt, che a suo tempo, per intenderci, era stato assegnato a Proust. Conquistadors si era meritato il Premio Ignatius-J. Reilly, Congo e La bataille de l'Occident il Premio Valery Larbaud, Tristesse de la Terre il premio Joseph Kessel, 14 Juillet il premio Alexandre-Vialatte.
Vuillard non pretende di raccontare l'unica verità, neppure tutta la verità. I suoi romanzi storici, sono gioiellini agili e nervosi (96 pagine La gu,erra dei poveri, 132 L'ordine del giorno). Racconta più emozioni che fatti. «Vogliamo storie, si dice che illuminino. E più la storia è vera, più ci piace. Ma nessuno sa raccontare le storie vere. Eppure siamo fatti di storie...»: così esordisce il capitolo finale su Müntzer catturato, torturato, decapitato, la testa issata su una picca. Non sapremo mai se davvero ritrattò, supplicò di aver salva la vita, come sostengono i suoi detrattori. Né se la famosa "confessione" di comunismo, «mettere tutto in comune, omnia communia», e decapitare ed impiccare ricchi e nobili, gliela misero in bocca sotto tortura, per giustificare il massacro dei rivoltosi.
Vuillard non è un narratore imparziale. Così come non lo è nessuno di quelli che hanno scritto di queste cose. E, più in generale, non lo è nessuno che scriva di storia. Melantone, il primo che raccontò le guerre contadine, stava dalla parte dei Principi. Shakespeare fa pesante ironia su Jack Cade e i rivoltosi dei secoli precedenti, ma sostiene anche che furono strumentalizzati dai nobili nelle loro lotte di potere. Quando scrisse La guerra dei contadini in Germania, Engels aveva in mente le fallite rivoluzioni europee del 1848. Progettava di scriverne ancora, a fine '800, da padre spirituale del Partito socialdemocratico, meglio soppesando il ruolo esiziale del popolo canaglia. Il marxismo sovietico vi vide l'anticipazione di tutte le rivoluzioni. Ernst Bloch vi ritrovò la forma più pura del connubio tra fede religiosa e speranza rivoluzionaria. Interminabili le sue dispute, negli anni '20 e '30 con il comunista Lukàcs.
Ma ancora una volta fu un romanzo, a indovinare, in quegli stessi anni, che, mentre a sinistra litigavano, a impadronirsi delle rivolte di popolo sarebbero stati i nazisti. Il profeta della rivolta populista dell Re degli anabattisti somiglia a Hitler, i suoi sgherri e carnefici alle SS, il suo ministro della propaganda è zoppo come Goebbels. L'autore, Friedrich Reck-Malleczewen, non era di sinistra, era un conservatore. Finì e fu ucciso a Dachau.