La folla è agitata. Attende trepidante sin dalle primissime luci dell’alba. È impaziente. Sbuffa. Fischia. È pressoché incontenibile. Ormai non ce la fa più. Se deve succedere che succeda, che accada. Vuole il sangue. Vuole veder morire. È la Legge. È come una fiera affamata. Abdel Karim lo sa. Lo sente. Decide però di far salire ulteriormente la tensione. Di prolungare ancora di più il rito. La liturgia. La teatrale drammaturgia. Trova infatti che solo in quel modo, con quella strategia, grazie a quell’atmosfera, gli epiloghi possano sublimarsi, raggiungere la bellezza delle tragedie vere e proprie. Del resto l’attesa della massa è cominciata assai presto, ben prima dell’ora prevista sin dall’inizio per l’esecuzione degli impuri, le dieci; i primi capannelli si formano subito dopo la preghiera del Fajr, la prima della giornata, per i musulmani, che si recita all’alba: appena terminata si sono subito costituite lunghe processioni di ombre, figure strane che di colpo popolano le vie di Kalep, convergendo verso la piazza del municipio, immensa e, ora, gremita. La marcia ha in sé qualcosa di affascinante, la moltitudine cammina, procede, striscia, lenta, imponente, irresistibile, come se fosse l’antica e maestosa falange di un esercito, in un solenne ciabattare di sandali…
Potente, forte, ruvido, doloroso, scabro come la terra che racconta, violento, solenne, emozionante, epico, monumentale e tragico, tragicamente verosimile, caratterizzato da un ritmo travolgente e da un’abilità descrittiva tale da far vibrare le corde più profonde e far direttamente immedesimare più che soltanto, ammesso che si possa dire, immergere il lettore nella storia, il romanzo pluripremiato di un autore giovanissimo ma dalla voce sorprendente acuta e matura, dall’intelligenza vivace e dallo sguardo attento agli orrori di un mondo che non si è affatto evoluto, nonostante le sempre maggiori possibilità, è un grande inno alla vita e alla libertà. Un manifesto. Un grido d’allarme e denuncia, perché non ci si volti più impunemente a cuor leggero dall’altra parte per comodità. Contro la morte. Contro l’oscurantismo. Contro la barbarie. Contro il fanatismo. In primo luogo religioso. Ma certo Dio è un pretesto, non c’entra niente con tutta quella fede nella morte, nella prepotenza, nella vendetta. Il paese, immaginario, il Sumal, che sembra il Senegal natio dell’autore ma ancor di più la Nigeria falcidiata dalle mattanze di Boko Haram, è affogato nella Sharia. E chi potrebbe risolvere le cose si concentra su altri interessi, più redditizi.