Foche! Non so se siete là fuori, o se capirete quello che dico. Mi chiamo Donald MacFarlane, e vi ho fatto un torto. Però non posso più disfare quello che ho fatto, lei non può più tornare da voi... cercherò di rimediare, capite? Farò del mio meglio! E questi sono per voi!».
Così urlò al mare in una delle notti più buie dell'anno sulle coste settentrionali della Scozia. Poi si alzò, rovesciò la cesta di granchi, raccolse la sua lanterna e se ne andò.
Pelle di foca è il commovente - stupefacente - romanzo d'esordio di Su Bristow, pubblicato da edizioni e/o con la traduzione dall'inglese di Silvia Castoldi.
L'autrice è un'esperta di medicina erboristica che vive nel Devonshire - e questo libro, che le è valso nel 2013 L'Exeter Novel Prize e celebrato dal Guardian, non può che aggiungere per lei, alla voce «professione», la parola «scrittrice».
«Non c'è dolcezza nella vita di un pescatore»: lavoro di sangue e di coltello per essere risputato sulla costa bagnato e infreddolito, puzzolente e coperto di lividi.
Donald, però, a pesca con lo zio Hugh non vuole uscire. Dalla nascita, la sua pelle è troppo delicata, non fa che spezzarsi e incartapecorirsi - lo prendevano di mira a scuola, figuriamoci a bordo di un peschereccio (le donne non possono salirvi, portano sfortuna).
Una vita trascorsa a camminare rasente al muro, la sua, a raccogliere granchi sulla spiaggia per sfamare sé e la madre Bridie, che nella vita raccoglie erbe medicamentose per farne unguenti.
Quando era bambino suo padre uscì per mare e non fece più ritorno - forse era approdato laggiù, nella terra della Giovinezza, pensava Donald in una notte calma e senza vento, seduto sulla riva, la luna piena che proiettava dubbi e ombre. Ma sono soltanto leggende per pescatori che hanno alzato il gomito: «carne per granchi, ormeggio per patelle e anemoni», ecco cosa sono diventati tutti i morti in burrasca.
Quella sera c'erano delle foche sull'isolotto di scogli: sotto gli occhi di Donald si trascinarono, grasse e pesanti, con movimenti sgraziati sulla spiaggia. E fu allora che presero a oscillare, a uscire dalle loro pelli spesse e a ballare: nove giovani donne bellissime che si tenevano per mano, quasi sospese nell'aria, inebriate dalla gioia.
«Sembravano bambine appena uscite dal bagno, più nude che mai, come l'interno bianco dei rametti di abete quando si toglie la corteccia» - poi una di loro lo vide.
Urlò di terrore quando non trovò più la sua pelle, che Donald aveva gettato, ancora calda, lontano tra gli scogli.
Con occhi scuri bramava l'acqua dove erano ormai scomparse le sue sorelle.
Lui la possedette - l'odore di creature annegate gli invase le narici quando entrò dentro di lei.
«È un nuovo inizio, Donald» commentò sua madre quando la portò a casa. «Meglio dell'ultimo».
A quella ragazza con la pelle di neonato, come la sua, venne dato il nome, sbiadito sulla lapide del cimitero, della sorella morta: Mairhi.
Le fu fabbricato un passato, genitori dell'entroterra uccisi da un'epidemia di febbre.
Al fatto che non emettesse alcun suono, che non avesse mai mangiato una zuppa maneggiando un cucchiaio, ai suoi pianti silenziosi venne fornita una scusa: era tocca, scema. Soprattutto, fu fissata una data di matrimonio. Aspettava un bambino.
«Era strano stare con lei. Gli altri gli davano addosso in continuazione, con le parole, gli sguardi, i giudizi, ma Maihri non gli chiedeva nulla, non capiva neanche cosa pensasse. Per la prima volta da quando aveva memoria, Donald aveva incontrato qualcuno più sperduto di lui».
Ora la responsabilità di quella creatura strappata al mare era solo sua: proteggerla dalle malelingue del villaggio, dagli sguardi dei parenti, dalla cattiveria.
Presto Maihri rivelerà delle doti soprannaturali: con un solo tocco sapeva calmare i bambini e gli anziani malati, ricuciva gli strappi, non della pelle ma dell'anima.
Allo stesso tempo, sapeva incutere il terrore più oscuro, come fece una notte in cui i fratelli Bain, ubriachi, tentarono di far del male a Donald e lei li annientò con un solo sguardo. Vissero insieme, Maihri e Donald, ebbero dei figli.
Mentre si appresta a cominciare un'estate di romanzi d'amore e da ombrellone tutti uguali, il talento di Su Bristow sta nella delicatezza, e nella potenza, di fare della leggenda scozzese delle «selkie», il prodigio per cui una volta l'anno le foche si trasformano in giovani donne, un canto universale.
Del dovere di prendersi cura di qualcuno, quando si ama.
Di accettarne la sua vera natura - pelle - accentando insieme la propria, che di foca o umana sia.
«Attraverso di lei, più straniera di quanto chiunque potesse immaginare, gli sembrava di cominciare finalmente a provare un senso di appartenenza».
Tuttavia come leggenda e letteratura impongono, un giorno Donald tornò dalla pesca. E non la rivide mai più.