“Non mi faccio capace che l’odore del tradimento arrivi prima di lui, ma con me fa così: somiglia ai vapori dello zucchero fermentato, che salgono nel naso e poi continuano fino al cervello. L’infedeltà si dice in anticipo, è un rumore di foglie che si staccano e se ne vanno prima che l’albero sia svestito dal vento.” (…) “L’inganno ha un aroma tutto suo, invecchiato in anni di esercizio.”
Sin dalle prime pagine di questo libro ho intercettato la forte umanizzazione che caratterizza il personaggio di Blanca Occhiuzzi, un detective ipovedente il cui cognome riecheggia d’ironia, tormentata dalla percezione dell’inganno inteso nel suo senso più vasto: come discrepanza tra apparenza ed essenza, tra intuizione ed estenuante ragionamento, tra la capacità di percepire il non visto e l’incapacità di osservare il vedibile.
“Quelli che si dichiarano deboli, loro sì che sono capaci di annunciare la propria scarsa resistenza, hanno sempre in bella mostra una scatola di cartone che mette in guardia chi si avvicina: attenzione, fragile. Chi ha scelto di dirsi forte non può avere l’avviso scritto sul cartone. Non c’è nessuna parola che dica: attenzione, pure lei è fragile, almeno in alcuni punti. Si piega in due lo stesso, si riduce in frantumi lo stesso. Chi si ostina a dirsi forte si ripara in solitudine, come può, ma riparte con qualche pezzo mancante, perduto senza poterne esibire la croce.” (…) “Immagino la semioscurità della stanza. L’infedeltà sarà contenta delle tende chiuse, si trova bene nella penombra, sta a suo agio nel mistero. Eppure ho un vantaggio: il tradimento che agisce nello scuro non lo sa che il buio è anche roba mia. Ci affronteremo in una lotta tra pari. Per me, dare al nemico le spalle o il petto è la stessa cosa. Non lo posso comunque guardare in faccia. Mi consolo da sola: se perdo c’è sempre la fuga, me ne so andare.”
Quando parlo di umanizzazione intendo questo. Blanca sa denunciarsi consapevole delle proprie difficoltà, delle mancanze, delle fragilità ma, al contempo, sa prendersene cura escogitando una strategia, sebbene di fuga, che possa in qualche maniera fungere da elemento protettivo.
Non credo sia un caso che il libro si apra su una panoramica di intrecci relazionali e di “sofferenze” personali; del resto le indagini e i rapporti tra i vari personaggi sembrano correre su binari paralleli, in una corsa simmetrica. Tuttavia, proseguendo nella lettura si ha la sensazione che le indagini tardino a trovare una risoluzione proprio perché i vari personaggi, intrappolati nella propria bolla individualistica, tendono ad acquisire le informazioni sui casi senza raccordarle a quelle rilevate dal resto del gruppo. Sono pezzi spaiati di uno stesso puzzle.
Ma Blanca si spinge oltre perseverando nel tutelare la sua maschera di “animale selvatico” concedendosi all’amore di un uomo che non ama e a una figlia, adottiva, di cui ha scelto di prendersi cura. È un animale fedele, Blanca, ma a proposito della fedeltà dice:
“ (…) tu non lo sai, ma ti porti con te tutto questo e io non voglio esserti fedele, perché ho un carattere insidioso che può pure ammazzare per difendere una promessa. Può ammazzare soprattutto me, e per il momento non me lo posso permettere, non posso più essere fedele all’amore e al tentativo spasmodico di mettere a posto questi pezzi di me che insieme fanno solitudine. Io non posso promettere più.”
Patrizia Rinaldi imprime su carta una scrittura a dir poco strabiliante; poetica, fluida, emotiva. L’uso del “voi” e di quell’intercalare tipicamente napoletano, che non è mai eccessivo o pastoso, rimandano al vociferare delle strade rionali, all’odore del caffè, alle chiacchiere, ai panni stesi al sole che impregnano l’aria di odore di bucato.
È un quadro, il suo, di cui ho apprezzato ogni cosa. Cornice compresa.