Tra i pensieri della mattina, fedeli come cani maltrattati, comparve il solito, il più prepotente, pronto a ripeterle che lei di bello aveva solo il nome. Succedeva a ogni alba che intravedeva tra i palazzi dal basso della sua veranda. Perciò aveva accettato e perciò adesso parte del contrabbando se ne stava in una gabbia (p. 13).
La mia recente passione per gialli, thriller, noir e quanto c'è di affine a questi generi letterari mi ha condotta a leggere La danza dei veleni (edizioni e/o, 2019), l'ultima opera di Patrizia Rinaldi, autrice proveniente da Napoli laureata in Filosofia e specializzata in scrittura teatrale.
Inizialmente devo ammettere che ero decisamente restia perché avevo scoperto che si trattava dell'ultimo capitolo della serie dedicata al personaggio immaginario di Blanca Occhiuzzi (già nel cognome si scorge la contraddizione della condizione che caratterizza la donna), detective della polizia ipovedente che si muove in una Napoli a tinte fosche, e l'unico limite che mi pongo nei confronti delle serie è quello di iniziare a leggerle dal primo capitolo. Poi, però, ho scoperto che della trama faceva parte un'altra mia grande passione: cani e altri animali; così mi sono decisa e mi sono immersa nel mondo di Blanca, del commissario Martusciello e degli altri suoi colleghi.
La danza dei veleni è un noir ambientato nella Napoli dei giorni nostri; al centro della narrazione, troviamo una giovane poliziotta ipovedente madre adottiva di una ragazza, Ninì, e dotata di una sensibilità fortissima per odori, rumori, atmosfere.
Affiancata dal commissario Micheli e dagli agenti Liguori (per i quali nutre qualcosa di più che una semplice amicizia), Carità dovrà risolvere due casi apparentemente privi di connessione: il traffico illecito di animali provenienti dall'estero e le morti di due giovani morsi da un ragno velenoso.
Patrizia Rinaldi dà vita alla quarta avventura di Blanca (dopo Blanca, Tre, numero imperfetto, Rosso caldo), un personaggio che ho imparato ad apprezzare: dotata di un forte istinto che la porta ad avere interessanti intuizioni investigative (anche se nel corso della storia questa attitudine spesso verrà messa a dura prova), vive la sua condizione di donna senza che la disabilità diventi mai un ostacolo:
Blanca ubbidì controvoglia. Si era sempre sentita incapace di riconoscere a comando gli indizi che poi metteva in relazione, seguendo un criterio che davvero non riusciva a spiegare. Era stata presa da una specie di immobilità; un torpore le aveva afferrato la sua parte più viva, autonoma, ingovernabile. Non era più lei. Niente le diceva niente. Aveva perduto la risorsa che le aveva sempre aggiustato i giorni, che la metteva d'accordo con il suo lato selvatico e meno vulnerabile. "Ma io così non posso esistere" si ripeteva, inginocchiata davanti ai corpi morti. "Mi sono rimasti i pezzi peggiori. Che me ne faccio?" (p. 57).
Ciò che però maggiormente colpisce il lettore è l'impatto con la scrittura della Rinaldi: con rapide e brevi pennellate la storia si dispiega davanti ai nostri occhi. Le vicende che si susseguono sono quanto mai tragiche ma, pur nella loro durezza, non disturbano la sensibilità di chi legge.
L'idioma napoletano viene collocato in secondo piano, se ne trovano tracce solo nell'uso del Voi, e questo fa pensare che tutto ciò che viene narrato ne La danza dei veleni potrebbe trovare collocazione in qualunque parte d'Italia:
Ragionò sulla voglia malaccorta del collega di mantenere a ogni costo la cartolina bella, anche contro l'evidenza dei fatti e degli inevitabili contrasti. In ogni città che aveva conosciuto, ed erano tante, il degrado e la bellezza si muovevano in un minuetto antico, qualche volta si accarezzavano pure. Più di tutti glielo aveva insegnato Blanca, quel ballo di opposti. A chi lo negava, restava solo un'immagine stereotipata e bugiarda (p. 78).
Ambientato in una Napoli priva delle abituali caratteristiche che la realtà e l'arte le hanno tributato di volta di volta (solarità, allegria, spensieratezza), questo noir conserva comunque il ritmo lento proprio della città partenopea: non assistiamo mai a vere e proprie scene d'azione, piuttosto seguiamo un andamento che prosegue circolare e inevitabile sino alla fine, come acqua che scivoli lentamente sul fondo di un lavandino.
La danza dei veleni ci affida un personaggio selvatico (quello di Blanca) come un animale, ma anche capace di incredibili slanci d'affetto nei confronti della figlia adottiva. Magari il lettore non si immedesimerà nelle sue scelte, ma non potrà fare a meno di tifare per lei, per la risoluzione del caso e per quella del suo cuore.
Patrizia Rinaldi ha scritto un bel giallo, di quelli che riescono a tenerti incollato alle sue pagine fino alla fine grazie a una trama ben disegnata e a uno stile scorrevole ma ipnotico: mi sento di consigliare questo libro a chiunque apprezzi il genere, e io stessa non posso fare altro che recuperare tutte le precedenti avventure di Blanca.