(...) Ma non si scambi La danza dei veleni per un libro animalista. L’empatia di Patrizia Rinaldi non si ferma alle vere vittime della spirale di violenza in cui si avvolge la trama. Alla scrittrice preme molto di più. Sopratutto precisare le coordinate di Blanca, che cresce romanzo dopo romanzo, fino a dilagare nel panorama ormai alquanto ripetitivo del giallo italiano. Lei non è una qualsiasi protagonista seriale, non subisce quello che Umberto Eco definì in Apocalittici e integrati “l’intreccio senza consumo”, ovvero la magia dell’invenzione che conserva integri gli eroi inventati dopo ogni avventura, che nella realtà logorerebbe chi l’ha vissuta. Al contrario, Blanca lascia ogni volta una cospicua parte di sé nelle vicissitudini che accompagnano i casi di cui si occupa. Mentre, nel contempo, cresce dentro i lettori, che la seguono nelle introspezioni al presente e in prima persona che Patrizia Rinaldi frappone al succedersi dei capitoli. Tanto che alla fine, Blanca risulta così vivida da apparire concreta. Sullo sfondo di una Napoli alla quale non è concessa nessuna licenza folkloristica, perché si tratta solo di uno scenario esistenziale. (...)