Non conosco i romanzi di Gaudé (francese nato nel 1972), ma questo libro mi ha invogliato a leggerli. Noi, l'Europa è un poemetto nello stile antico degli Whitman, degli Hugo, dei Carducci. Si legge d'un fiato, e la sua carrellata di storia e problemi attraversa il novecento di due guerre mondiali piene di morte, e di una guerra fredda mai davvero finita: “Qui, su questa terra d'Europa,/ l'ottimismo è stato ucciso / E ciò fa di noi / Gli eredi dell'angoscia”. Ma ecco, a contrasto, il sogno degli Stati Uniti d'Europa, ed ecco anni di apertura e di speranza, ecco anche il sessantotto: “Da una parte il ristabilimento dell'autorità, / Dall'altra lo zampillare del disordine”. Ma “Chi siamo adesso? / Quello che condividiamo. / È l'aver attraversato il fuoco, / Essere stati ognuno / Vittima e carnefice, / Gioventù imbavagliata e mani sporche di sangue, / Quello che condividiamo / È l'umanesimo inquieto”. Il poemetto finisce nel sogno di un'Europa accogliente, e con un'invocazione ai giovani (oggi così opachi, straniti), nel nome di Fanon: “Questa è la nostra missione: / Far tornare i popoli al cuore dell'Europa. / Perché mai niente si è fatto senza di loro”. Questo libro ha la forza della convinzione di un destino comune, che proprio in questi giorni sarà messo alla prova da elezioni decisive.