Dopo sei anni torna in libreria Blanca Occhiuzzi, detective ipovedente esperta di decodifica e di intercettazioni. La sua nuova avventura è La danza dei veleni (e/o, pagine 224, euro 16,50), la quarta dopo Rosso Caldo, Blanca e Tre, numero imperfetto. Stavolta si deve occupare di traffico di animali illegali provenienti dall’estero e di un serial killer che per uccidere le sue vittime usa il phoneutria, un raro esemplare di ragno velenoso di quindici centimetri.
L’inventrice di Blanca, la scrittrice napoletana Patrizia Rinaldi, laureata in Filosofia, è una tipa poco presenzialista che ha tenuto per undici anni corsi di scrittura creativa al carcere di Nisida. In questi giorni ha firmato con una casa di produzione romana per una serie tv con protagonista la sua Blanca.
Rinaldi, quando vedremo sugli schermi la detective?
«Un annetto, più o meno. Dopo la firma adesso viene il difficile, la scelta degli attori e dei luoghi, la sceneggiatura».
Difficile decidere il volto giusto per Blanca, idee?
«Non glielo dico. Però deve essere un’attrice capace di trasmettere la selvaticità della mia eroina. Lei ha un carattere all’opposto di quello domestico di molte donne di fiction. Non è docile, è poco ragionevole. È una donna che ha voluto fare del danno una risorsa. La vita le ha insegnato a essere tutt’altro che conciliante».
Poi deve sapersi muovere come una non vedente.
«Sì ma deve farlo come se non fosse un impaccio. Il mio personaggio vuole smantellare i cliché sulla disabilità. Anche se non vede, Blanca ha tutti gli altri sensi accentuati, e poi fa l’amore, si arrabbia, tiene testa a tutti. La sua fragilità è solo apparente».
In questo nuovo libro le regalano un cane.
«Si chiama Guaio, dovrebbe aiutarla ma per lei è da intralcio, non ha bisogno di nessun aiuto. È un animale morente e le fa tornare in mente ricordi tragici, quando ha perso la sorella, i tradimenti sofferti. Per curarlo va da un veterinario e da lì prende spunto l’indagine sul traffico di animali. Insieme a lei ci sono i soliti colleghi, il commissario Martusciello, l’agente scelto Carità, i suoi due amore Liguori e Micheli».
Romanzo animalista?
«Raccolta di esistenze scartate, umane e animali. Di mezzo c’è una forma di criminalità organizzata che fa poco notizia ma ha giri d’affari molto proficui. A governare c’è un boss improbabile, che vive in serraglio e dedica la sua esistenza al traffico di animali rari».
Blanca indagherà su di lui e sul killer del ragno.
«C’è una terza indagine, quella che lei compie su sé stessa. Mi sono laureata con una tesi sul non razionale, i miei libri non possono non risentirne, questo soprattutto. Blanca riflette sul senso - non senso dell’esistenza, del dolore, della verità. Ma non voglio spaventare i miei lettori, cerco di intrattenere, sono discepola di Fruttero e Lucentini. Anche quando sono seria mantengo uno sguardo leggero».
C’è più Napoli, rispetto a prima, in questo romanzo, ma fa da sfondo.
«Vivo a Pozzuoli, che amo perché sono legata alla sua vecchia anima operaia. E poi c’è Napoli, stavolta la vicenda interessa non solo i Campi Flegrei, dove c’è il commissariato, ma anche piazza Dante, il centro storico, il Vomero. Non mi piacciono le tinte definite per raccontare Napoli. Oggi o è il set della camorra o quello della città da cartolina. La mia Napoli è una città metropolitana normale, dalla qualche cerco di mantenere un distacco neutro. A volte quando racconto la storia posso anche dimenticarla».
Che cosa ha imparato dall'esperienza con i ragazzi di Nisida?
«Dai detenuti ho imparato tutto. Hanno avuto su di me un impatto emotivo talmente profondo da cambiare la mia visione della vita. Ho capito che variabili imprevedibili irrompono continuamente nella realtà, che le definizioni sociali sono un dogma contro cui lottare».