Laurent Gaudé, Prix Goncourt 2004, mette la sua penna al servizio dell’Europa, un’Europa malata, tormentata, non amata, forse a rischio di sopravvivenza.
Ogni scrittore è testimone del suo tempo, ha detto Victor Hugo. È logico quindi che Laurent Gaudé abbia scritto un appello per salvare questa signora, non poi così vecchia, ma sofferenze per l’artrosi e altri mali causati dagli abusi. Lo fa come un poeta coraggioso, che prima traccia un quadro inquietante e poi elegantemente ci dice che cosa si deve fare per fare tornare l’Europa ai suoi valori e al suo destino.
Sin dalle prime battute si comprende il tono: «Troppo lontana, (l’Europa) disincarnata, spesso non suscita altro che una disillusa noia». È contro questa indifferenza che insorge. Diffusa non solo tra i politici ma anche, ed è più grave, tra i giovani di questi 27 paesi che hanno intrecciato i loro dati e il loro destino per un mondo migliore. Gaudé vorrebbe stabilire un nuovo traguardo di civiltà, perché ritiene che «meritiamo sogni più alti e passioni più folli. Meritiamo di nominare l’impossibile e di lavorare per farlo apparire». Un programma molto ampio, come diceva il generale De Gaulle.
«Io sono europeo» è un grido, una dichiarazione e una chiamata, una poesia in attesa di altre voci che ad essa si uniscano per salare questa entità dalla stagnazione, dalla noia e persino, se non facciamo nulla, dalla disfatta. Non dimentichiamo che alcuni sondaggi prevedono un massiccio arrivo al futuro Parlamento europeo dei partiti di estrema destra emersi negli ultimi anni in Italia, Spagna, Olanda, Austria e in molti altri paesi. Partiti politici il cui scopo è distruggere l’Europa, farla a pezzi per tornare alle piccole frontiere del passato, dove tutti stavano per conto loro, diffidenti verso i prossimo. Ripiegati e chiusi in se stessi. Freddi e sfiduciati.
Laurent Gaudé scrive il suo appello in forma di poema. Comincia con una testimonianza: «Siamo attraversati da un lungo fiume di storia / che ci dona la solidità del tempo». Osserva come questi europei siano «vecchi bambini» nati dall’utopia e dal malcontento. Colloca la nascita, non dell’Europa come è oggi, ma della sua idea, nel 1848: «L’Europa nasce in quei giorni del 1848, / è quella di Mazzini, / di Friedriche Hecker e Gustave Struve, / quella di Garibaldi, / di Lajos Kossuth, / di Ludwik Mieroslawski e di Ledru-Rollin».
Certamente, dopo quelle date storiche, in quelle terre fertili ci sono state delle guerre, dei massacri, delle follie! Dunque, a causa, o grazie a quel sangue versato così copiosamente da nazioni come la Francia, la Germania, l’Italia e la Spagna, occorre reagire, salvare l’Europa di oggi e rinnovarla con la stessa passione che ha reso possibile la sua fondazione.
Laurent Gaudé si fa storico e racconta le epoche e i sacrifici che daranno vita a questa bellissima utopia. Ci ricorda che «ciò che abbiamo mangiato ci ha reso ciò che siamo / e per secoli ci siamo nutriti del mondo». Poi evoca il ricordo di come la democrazia sia stata ingannata e assassinata, e di come questo abbia quasi gettato l’Europa in un abisso, dove avrebbe perso non solo la guerra contro il fascismo e il nazismo, ma anche la sua anima e il suo corpo. Laurent Gaudé ricorda ciò che l’uomo ha fatto all’uomo: «l’ha gassato, in massa». Le ceneri cadono e coprono con il loro silenzio la speranza di un’umanità giusta e degna.
Questa Europa ha potuto essere forgiata ed esistere solo perché le tragedie hanno tentato di sottometterla, sfigurarla ed escluderla dalla civiltà.
In Lettera a un amico tedesco, Albert Camus scrive: «La nostra Europa è un’avventura comune che continueremo a inseguire, malgrado voi, nel vento dell’intelligenza». Laurent Gaudé cita ancora Camus che dichiara che l’Europa è «la mia più grande patria». E anche Victor Hugo che, in un discorso del 1849, parla della costruzione di una «fraternità europea».
Oggi parliamo di solidarietà, anche se soffocata dagli imbrogli della grande finanza che sacrifica l’umano e ci prepara a nuove crisi economiche.
Laurent Gaudé conclude il suo intervento con un vibrante appello all’Europa dei popoli: «Che l’ardore ritorni / che l’Europa riviva / cambi, / e sia / ancora, / per il mondo intero, / l’emblema luminoso / dell’audacia, / della speranza, / dello spirito, / e della libertà».
Possano gli elettori di maggio leggere questo libro, un lungo poema semplice e vivace, un’evocazione della storia di questa Europa che dovrebbe consolidare la sua identità e tornare a scegliere i valori che sono le sue radici. Così, i Salvini, gli Orbán, le Le Pen, i Vox e molti altri politici del malaugurio saranno sconfitti dalla volontà degli uomini e delle donne che hanno bisogno dell’Europa, vale a dire di cultura, di civiltà e di solidarietà. [traduzione di Carla Reschia]