C’è un fondo di nostalgia nella pagine di Paolo Teobaldi, insegnante d’italiano e scrittore appartato, senza paillettes, senza riconoscimenti di grido, ma di valore, presenza preziosa nel catalogo delle edizioni e/o. In questo suo libro guarda l’Italia dalla provincia marchigiana, tra pianura padana e mare Adriatico. Tenero, ironico, affabulatore, Teobaldi, racconta, fra le altre cose, gli uomini e la natura, il disfarsi di un paesaggio, un mondo andato in cenere, una piccola altura nei pressi di Pesaro, il monte San Bartolo, le sue costruzioni di arenaria e l’incessante movimento delle onde che tutto sgretola. Una cura antica e sapiente nella scelta delle parole, una naturale dimestichezza con il vocabolario caratterizzano la lingua di Teobaldi (sintassi elementare, lessico che mescola antico e nuovissimo, rarità e neologismi); l’autore in «Arenaria» immagina un nonno e una nipote di pochi anni in bicicletta, che percorrono ed evocano e persone (carrettieri, pescatori) e luoghi sfumati, che non sono più gli stessi o che addirittura non esistono più. Il libro è super realista, ma sa essere visionario, arguto e sornione, ma con scorci malinconici. Lontano dalle mode correnti, Teobaldi propone una letteratura altra, originale, di confine (non solo fisico), di cui gli scaffali delle nostre librerie hanno bisogno.