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“Vita su un pianeta nervoso” di Matt Haig

Autore: Paolo Musano
Testata: La biblioteca di Babele - Medium
Data: 7 maggio 2019
URL: https://medium.com/castelli-di-carta/vita-su-un-pianeta-nervoso-di-matt-haig-feea90e5d360

La parola chiave di questo libro è già nel titolo: nervoso. L’Ipotesi Gaia sostiene che il nostro pianeta è vivo e si evolve (nel bene o nel male) anche grazie all’azione degli esseri viventi che lo abitano, uomo compreso. Matt Haig va ben oltre dicendo che la Terra ha un immenso sistema nervoso (quindi l’aggettivo del titolo ha una doppia valenza, ironica o tragica a seconda dei punti di vista). Le fibre di questo sistema nervoso planetario sono costituite dalla rete di Internet, dagli smartphone e dalla tecnologia che li fa funzionare (per cogliere il senso di questa metafora e dell’aspetto materiale di Internet leggete “Tubes” di Andrew Blum). L’uomo sta nel mezzo, è il nodo fondamentale di questo sistema, funge da neurotrasmettitore digitale. Questo ruolo ha aperto nuove frontiere della conoscenza, generato intelligenze collettive e forme di collaborazione impensabili fino a pochi anni fa, ma allo stesso tempo ha semplificato (potremmo dire ‘impoverito’) il nostro pensiero, indebolito la nostra memoria, facilitato (ma anche banalizzato) le nostre relazioni, ma soprattutto creato nuove forme di nevrosi. È un paradosso, ma è la conseguenza del salto quantico della storia recente dell’uomo. Un avanzamento tecnologico così veloce non può non avere un lato oscuro, ma è il rovescio della medaglia dell’innovazione: uno strumento, quando viene scoperto, ci permette di fare cose nuove, a volte meravigliose. Ma può diventare anche un’arma (pensate a cosa succede quando i nostri progenitori, all’inizio di “2001: Odissea nello Spazio” di Kubrick impugnano un femore e capiscono che possono usarlo come un martello).

Questo libro spiega molto bene il rapporto complicato che l’uomo contemporaneo ha con la tecnologia. E lo fa attraverso la vita del suo autore, Matt Haig, uno scrittore inglese che ha sofferto di disturbi d’ansia, attacchi di panico e depressione. Parte della sua sofferenza psichica è stata causata proprio da un uso improprio dei social network e della tecnologia. Ecco perché questo è un libro che dovrebbero leggere tutti, visto quanto siamo dipendenti dai nostri smartphone e delle loro notifiche, anche quelli che pensano di non avere alcun problema e di essere perfettamente in grado di gestire la loro presenza negli ambienti digitali. Non è così. Non è affatto semplice essere consapevoli di quanto investiamo di noi stessi nelle piattaforme digitali e del rapporto simbiotico che a volte si viene a creare tra noi e gli strumenti di lavoro e intrattenimento.

Haig ci guida in un viaggio personale che però è il riflesso della quotidianità di chinque. Lo fa senza sconfinare nel pessimismo (di cui spesso è accusato), ma mantendo un tono leggero e spesso auto-ironico. Il suo libro, a metà tra il diario, il saggio e l’inchiesta, si legge molto bene, come un blog. I capitoli sono brevi, ma lasciano il segno, non eccedendo mai la soglia di attenzione. Alcuni sono talmente densi che somigliano a dai piccoli trattati filosofici. Quindi ci fanno riflettere, soprattutto perché non parlano solo di Matt Haig, ma anche di noi. Anche illuminandoci e rassicurandoci, come in questo passaggio:

Amate le imperfezioni. Mettetele in risalto. Sono quelle che vi distinguono dagli androidi e dai robot. Quello che mi è piaciuto di più di questo libro è l’onestà intellettuale dell’autore, l’umiltà nell’essersi messo a nudo parlando anche di fatti molto personali (come ha fatto nella sua autobiografia “Ragioni per continuare a vivere”), senza offrire soluzioni semplicistiche e a buon mercato. Matt Haig ci racconta quello che ha funzionato su di lui, senza demonizzare la tecnologia e i social media. Non dice: «Internet è il male!», ma che un primo passo per un equilibrio digitale è rinunciare all’illusione di controllare tutto. Ci si riferisce alle notifiche dei nostri dispositivi, ma anche a quello che ci succede nella vita.

Quindi

Forse il senso della vita sta nel rinunciare alla certezza per abbracciare la splendida incertezza dell’esistenza. Le sue parole sono il risultato di un percorso sofferto, autentico, portato avanti a piccoli passi, senza presunzione. In questo sta la loro saggezza e preziosità.