Eric Vuillard (Lione 1968), scrittore e cineasta, ha ricevuto vari riconoscimenti per i suoi lavori e in particolare il Premio Goncourt 2017 per L’ordine del giorno tradotto in Italiano, opera meritoria delle edizioni e/o, alla fine del 2018.
Il saggio ci mostra il dietro le quinte dell’Anschluss, l’annessione dell’Austria da parte della Germania nazista nel marzo del 1938. Emerge così, considerati gli avvenimenti smontandoli per mettere a fuoco i retroscena, una versione e una visione della Storia più sfaccettata e, se vogliamo, ancor più cruda e dolorosa.
Protagonisti e comprimari, tutto ci appare come ordito per apparire, creare consenso e le manifestazioni di giubilo per l’ingresso del Führer a Vienna con migliaia di ragazze che sventolano le bandiere con la croce uncinata, appaiono come un film di propaganda che pubblicizzava un mondo buono e nuovo anche se dietro le quinte tanti ebrei furono costretti a brucare l’erba dei prati e sottoposti a ogni genere di vessazione e umiliazione. In quei giorni di fibrillazione, quella primavera diaccia, foriera di tragedie a venire, si contarono quasi duemila suicidi, di ebrei e non, persone che pativano, sapevano, immaginavano che non ci sarebbero state magnifiche sorti e progressive bensì il buio della ragione.
Puntando l’obbiettivo sui retroscena si scopre che la poderosa macchina da guerra del Reich era costituita da Panzer e blindaticome di stagnola e vere scatole di sardine che in quella gioiosa avanzata verso Vienna si bloccarono in panne e si creò un ingorgo che trasformò in un incubo quella che doveva essere la prova della Blitzkrieg. Così quello che per Hitler doveva essere un bagno di folla nei luoghi natiifu in realtà un enorme flop.
Ma vorrei soffermarmi sull’inizio del saggio che racconta la riunione segreta presso il Reichstag dei ventiquattro più importanti industriali tedeschi il 20 febbraio del 1933. In uno scenario ghiacciato nebbioso e diafano si stagliano ventiquattro soprabiti neri, ventiquattro completi a tre pezzi, ventiquattro pantaloni uguali. L’Autore ce li presenta così, come abiti, ombre, senza anima, uguali, i padroni del vapore, che di lì a poco incontreranno Hitler e ai quali Göring chiederà sovvenzioni per finanziare il Partito assicurando dieci anni di stabilità e la fine della democrazia. Ed essi faranno la loro parte. L’Autore descrive i ventiquattro come se li riprendesse con una telecamera che al medesimo tempo ne desse una visione deformata dai toni e accenti espressionisti.
Ben presto essi sono visti come macchie, sorta di facce abbozzate con inchiostro nero, inquietanti, fanno pensare alle Pitture nere di Goya dove si riflettono gli incubi del pittore precursore dell’Espressionismo. Il linguaggio tagliente, la scelta della parola giusta al posto giusto, la deformazione espressionista ma anche la profonda conoscenza della materia, la miopia dell’Europa che non farà niente per salvare Cecoslovacchia e Austria, anzi, col Patto di Monaco si vanterà di aver salvato la pace, rendono il saggio appassionante e doloroso al tempo stesso perché evidenzia la leggerezza e la vacuità di politici e industriali che si rifornivano di manodopera nei Lager, come la IG Farben che aveva una fabbrica ad Auschwitz (nella quale lavorò Primo Levi) o Krupp. A proposito di quest’ultimo è magistrale la descrizione delle ombre che il vecchio Krupp, a guerra finita, vede in una zona buia nella sala della grande residenza. Egli, pur ormai incapace di ragionare, vedeva non ombre ma persone vere scheletrite, con gli occhi enormi, cadaveri di quei deportati che aveva noleggiato nei Lager per lavorare nelle sue fabbriche e che erano morti di consunzione e maltrattamenti.
Scritto come una sorta di successione di quadri, ci mostra il fondale sul quale prende forma il divenire storico ed è agghiacciante leggere della risata di Göring durante il processo di Norimberga nell’udire una registrazione di un colloquio con Ribbentrop.
Si potrebbe dire che Vuillard abbia trasposto la sua esperienza di cineasta nello scrivere per come letteralmente inquadra i protagonisti, gli ambienti e le vicende.
Saggio duro, lucido, graffiante, avvincente, rappresenta un contributo di grande valore letterario alla conoscenza della Storia contemporanea che ci fa riflettere sul pericolo dell’oblio e la fondamentale necessità del ricordo.