Un lungo weekend di Pasqua e Pasquetta, magari anche un ponte in arrivo tra quelli del 25 aprile e del primo maggio. È il venerdì giusto, insomma, per consigliare un romanzo di oltre 500 pagine: "Una piccola morte" di Mohamed Hasan Alwan, che e/o pubblica nella traduzione dall'arabo di Barbara Teresi.
Come succede ai volumoni ben fatti, anche questo travolge il lettore, lo porta con sé in un mondo fantastico nel quale non vede l'ora di tornare, e finisce per farsi leggere più rapidamente di romanzi più brevi. In questo caso, il mondo fantastico è quello islamico del XII e XIII secolo, epoca in cui visse uno dei maestri del sufismo, Muhyi-d-din Ibn 'Arabi. Che all'inizio del libro vive in eremitaggio sulle montagne dell'Azerbaigian, ma nella sua lunga vita aveva percorso tutte le terre dell'Islam, dall'Andalusia dove era nato attraverso il Marocco, l'Egitto, l'Arabia, la Siria. Lo aveva detto la sua nutrice, la filosofa e mistica Fatima Bint al-Muthanna, che sarebbe andato lontano: «E così è stato. Da quando io mi ha dato la vita, a Murcia, e fin quando me l'ha tolta, a Damasco, sono stato continuamente in viaggio». Viaggi materiali ma anche interiori, tra visioni ed estasi, le "piccole morti" del titolo.
I capitoli sono scanditi da massime di Ibn 'Arabi, e il lettore è accompagnato dalle note di Barbara Teresi che evitano malintesi. Non è importante capire tutto del quadro storico, delle contrapposizioni tra almoravidi e almohadi o tra scuole religiose: meglio lasciarsi trasportare dalle avventure del maestro sufi che scorrono pagina dopo pagina. Scorrono con una maestria che ha conquistato la giuria del più importante premio di lingua araba: l'International Prix for Arabic Fiction, che in pochi anni si è meritato il soprannome di Booker Prize arabo grazie a romanzi come "Il collare della colomba" di Raja Alem (Marsilio) e "Frankenstein a Baghdad" di Ahman Saadawi (e/o).