Nel libro Preghiera per Černobyl’ (1997, pubblicato in Italia da Edizioni E/O), la scrittrice premio Nobel Svetlana Aleksievič ha raccolto le storie di oltre 500 testimoni del più grave disastro nucleare della storia. Fra questi, anche quella di uno dei soldati che ebbe il terribile compito di uccidere gli animali domestici, decine di migliaia di cani e gatti che nell’evacuazione seguita al disastro la gente era stata obbligata ad abbandonare, e di seppellirli nelle fosse comuni. Ascoltatelo:
I cani sopravvissuti si erano trasferiti all’interno della casa. Ormai non si fidavano più degli uomini… Sono entrato: una cagna era sdraiata in mezzo all’unica stanza, con tutti i cuccioli intorno. Se mi è dispiaciuto? Più che altro, certo, è stata una cosa poco piacevole… Ci comportavamo come i reparti punitivi in tempo di guerra. Arriviamo, accerchiamo il villaggio, e i cani, al primo colpo d’arma da fuoco, scappano. Scappano nella foresta. I gatti sono più furbi e hanno meno difficoltà a nascondersi. Un gattino si era infilato in un vaso d’argilla… Ho dovuto scuoterlo parecchio per tirarlo fuori… Dovevamo scovarli anche da sotto le stufe… (…) Molte volte abbiamo dovuto sparare a bruciapelo… La cagna distesa in mezzo alla stanza con i cuccioli attorno… Mi si è gettata addosso e io le ho piazzato una pallottola in testa… I cuccioli mi leccavano le mani, cercavano carezze. Volevano giocare. Ho dovuto far fuoco a bruciapelo… Ma per quel cagnolino… Un barboncino nero… Mi dispiace ancora adesso. Abbiamo riempito un cassone intero di animali, fino all’orlo. E li abbiamo scaricati dentro il “tumulo”… (…) Quando sono solo feriti, gli animali piagnucolano… si lamentano… Li abbiamo dunque rovesciati nella fossa, e questo barboncino cercava di arrampicarsi. Di uscire. Eravamo rimasti tutti quanti a secco di cartucce. Non potevamo finirlo… L’abbiamo spinto nuovamente giù nella fossa, che poi abbiamo colmato di terra.
Sembra quasi di vederlo, quel cagnolino seppellito vivo, di sentirne i guaiti. Come di tutti gli altri. Lo strazio degli abitanti nel dover abbandonare i propri amici fedeli, compagni di vita. L’incredulità degli animali, leali e fiduciosi fino alla fine. E poi gli spari, la paura, il terrore, la disperazione dell’abbandono.
Oggi però a Černobyl’ (di cui scrivo questa settimana anche in un servizio sulla Lettura) è tornata la speranza. Trentatré anni dopo il disastro, alcuni dei cuccioli di Černobyl’ sono stati per la prima volta dati in adozione. «Allora, i soldati non riuscirono a uccidere tutti gli animali», racconta in un reportage di BuzzFeed Lucas Hixson del progetto Dogs of Chernobyl, parte del Clean Futures Fund creato anni fa per aiutare le popolazioni di aree colpite da catastrofi nucleari. «Alcuni scapparono nella foresta, di qualcuno i soldati ebbero pietà. Così oggi a Černobyl’ ci sono i discendenti di quegli animali, soprattutto cani, malati e denutriti, che hanno imparato a non fidarsi degli uomini e riescono a sopravvivere solo pochi anni per via della mancanza di cibo e acqua pulita, delle infezioni e del durissimo inverno dell’Europa dell’est. Oggi molta gente tornata a vivere in queste zone cerca di dar loro una mano. Da quando il Clean Futures Fund è arrivato a Chernobyl, abbiamo catturato, curato e sterilizzato oltre 850 cani e gatti, e l’anno scorso, per la prima volta, grazie alla collaborazione di SPCA International, oltre 40 cuccioli, discendenti dei cani di Černobyl’, hanno potuto essere adottati, alcuni negli USA. Abbiamo tantissimi cuccioli, tutti in buona salute».
Ad aiutarli nel reinsermento una signora del luogo, Natalia Melnichuk. Che insegna loro a non aver paura dell’uomo. «Sui cani di Černobyl’ grava uno stereotipo ingiusto e terribile», spiega: «quello di essere radioattivi. Ma oggi non è più così. Solo alcuni di questi cani sono contaminati. E se la contaminazione non ha raggiunto organi interni, nella maggior parte dei casi basta rasarli a zero e disinfettarli».
Salvataggi straordinari. Vite dedicate agli animali, come quella di Takis, che gestisce un rifugio per cani in Grecia, salvando i cuccioli dai cassonetti della spazzatura dove vengono buttati, a volte con il cordone ombelicale ancora attaccato. O Sebahat Hanifeoglu, che fa lo stesso in Turchia, salvandoli dalle discariche. «Sono il loro Babbo Natale 365 giorni all’anno», dice. E dona ai randagi tutto ciò che possiede, costruendo cucce e capanne di fortuna che puntualmente la gente ruba o distrugge, mentre spera di trovare i soldi per aprire un rifugio.
È la vita che cambia la vita. Come quella del cagnolino Hércules, trovato, scheletrico e con il corpo devastato dalla rogna, in un sobborgo di Buenos Aires, quand’era ormai troppo debole perfino per alzarsi in piedi, e adottato da una donna, Pía, che non ha voluto arrendersi (e oggi Hercules, tornato in salute, è una star del web).
O come Dean Nicholson, ciclista scozzese protagonista, con la sua Nala, di un video che su Dodo ha fatto in pochi giorni oltre 20 milioni di visualizzazioni. «A settembre ho lasciato il mio Paese per fare il giro del mondo in bicicletta», racconta. «Tre mesi e nove Paesi dopo, al confine tra la Bosnia e il Montenegro, ho visto una gattina rossa tra le rocce. Miagolava moltissimo, cercava di attirare la mia attenzione: era evidente che fosse stata abbandonata. Così l’ho presa con me. Le ho fatto spazio sul portapacchi, ma da subito ha voluto starmi sulla spalla. Allora le ho messo una pettorina e mentre io pedalo lei sta sul manubrio o sulla spalla, praticamente mi fa da guida. Insieme, abbiamo attraversato il Montenegro e l’Albania, dormendo in sacco a pelo». Poi un giorno, durante un temporale, Nala ha preso molta acqua e ha sviluppato un’infezione polmonare. Così Dean ha deciso di mettere in pausa il viaggio per dedicarsi a lei. Si sono fermati in un ostello per tre settimane, e quando Nala è guarita le priorità di Dean sono cambiate. «Adesso, il suo benessere viene prima di tutto. Continuiamo a viaggiare, siamo stati anche in Grecia, ma ci prendiamo i nostri tempi. E se non dovessi completare il giro del mondo non importa. Quello che conta è stare con lei, e che lei stia bene».
Che cosa fa fare l’amore.