"La bambina sulla banchisa" (Edizioni e/o, 2019) è il primo libro di Adélaide Bon. Opera autobiografica, è una toccante denuncia degli orrori che incatenano troppe donne, schiave della bambina morta dentro di loro.
Questo testo non dà scelta, non è possibile rimanere calmi, trasporta infatti il lettore in una sporca aula di tribunale, ce lo immerge fino alla gola, il fiato si spezza, per poi scaraventarlo di nuovo su fredde scale che puzzano di violenza, lì dove tutto è cominciato.
Mentre si va avanti con la lettura nel proprio petto battono i cuori dilaniati delle vittime che chiedono giustizia, ancora tremanti dopo decenni, frantumate in ossessioni e dipendenze che fungono da collante per restare vive, per scollarsi da sé e far in modo che il mondo non legga lo strazio che loro stesse hanno dimenticato. Un oblio che è al contempo salvezza e condanna.
Adélaide a soli nove anni incontra un mostro. Lo racconta ai genitori, si recano in commissariato e denunciano l'accaduto, ma questo atto non è la fine di un incubo, piuttosto l'inizio di uno strazio col quale convivrà a lungo, ignorandone l'origine.
La bambina mangia sperando che il cibo colmi la mancanza d'amore che l'odio ha generato. L'adolescente disprezza il suo corpo, è una cloaca della quale farebbe a meno, si masturba per farsi male, è il diavolo a tirarle giù le mutandine. Nessuno deve avvicinarsi al suo sesso o è costretta ad assentarsi per continuare a respirare.
Sorride ed è felice in pubblico, più si lacera dentro e più proclama al mondo una gioia bugiarda. Gli anni passano e Adélaide si appassiona al teatro, riuscendo a entrare all'Accademia d'Arte Drammatica di Parigi, recitare le permette di essere altro.
Si picchia di nascosto; è bulimica; apre le cosce senza provare alcunché. Non confessa a nessuno come si sente, è isolata, finta. L'esistenza si trasforma in una ricerca ossessiva del "perché?" attraverso terapie individuali, di gruppo, yoga della voce, metodo Feldenkrais, terapia corporea, costellazioni familiari.
Con la propria psicoterapeuta la stasi sopraggiunge sempre nel medesimo modo, quando la rabbia monta furiosa si sente soffocare e si ritrova piccola, infreddolita, in una distesa bianca. I continui problemi alla gola, il bacino bloccato, la distonia tra quello che gli altri vedono e ciò che è realmente ha le sembianze di un urlo che strappa gli angoli della bocca prima che il suono esca.
Le rimproverano di non essere autentica e ai casting è sempre la solita solfa: non lascia parlare la vera Adélaide. Le viene consigliato di iscriversi a un corso tenuto da un'attrice pedagoga dove scoprirà sulla sua pelle che "quando vogliamo ostinatamente nascondere una parte di noi l'unica cosa che passa è l'ostinazione che mettiamo nel nasconderci".
Compaiono le prime crepe sul muro eretto quel maledetto pomeriggio sulle scale, ma resta sempre impigliata nelle reti che ha costruito per difendersi dalle meduse. Ma cosa ha permesso alle meduse che si sono insinuate in lei a nove anni di tormentarla così a lungo? Scarta l'ipotesi che sia colpa dell'uomo delle scale, non era stato così orribile, delle semplici molestie non marchiano a fondo.
Con un lavoro ostinato e paziente, grazie alla preparazione delle persone che la accompagnano nel percorso, sebbene le crisi di panico si affaccino ancora, il bruciore nel ventre le faccia compagnia più volte al giorno, i dolori alla mascella le serrino la bocca, sente che qualcosa sta cambiando.
Ne sta uscendo. L'incontro con una psichiatra specializzata nella cura delle vittime di violenze sessuali le regala le parole giuste, chiamare le cose col proprio nome è uno squarcio di luce.
Penetrare con le mani è stupro. Lei è stata stuprata. Col suo fidanzato, arrivato dopo una serie di storie essiccate dal dolore che prosciuga, le cose vanno meglio, si sposano e lei resta incinta. Le meduse tornano all'attacco, le tiene a bada.
Ma una telefonata la fa piombare di nuovo indifesa su quelle scale, dopo più di venti lunghi anni dal giorno della denuncia la chiama la polizia, per la precisione la squadra protezione minori: hanno un sospettato. Il dramma si riaccende violento, più la neomamma si avvicina a capire più se ne tiene lontana con ossessioni, rabbia e violenza che annebbiano la comprensione.
Legge "Il libro nero sulle violenze sessuali" e il potere delle parole come strumento per riconoscere e riconoscersi accorre in suo aiuto. Affiancata da un valido avvocato decidono di iniziare la complicata pratica di aggravamento per modificare la denuncia che pesa sulla testa del mostro: da molestie a stupro.
Non è sola, la sua famiglia con la quale finalmente si apre la affianca, tanti dei professionisti che l'hanno aiutata testimonieranno. L'odio che Giovanni Costa, lo stupratore seriale, ha disseminato impunemente nell'arco di un'intera vita gli si rivolterà contro.
Adélaide infatti non sarà sola, in quell'aula di tribunale saranno in diciannove a portare l'amore in guerra contro l'odio alla ricerca della verità. Una verità che non le ridarà mai gli anni persi tra i tentacoli delle meduse, ma le permetterà di seppellire la bambina morta a nove anni. Perché oramai lei lo sa bene:
Non sono pazza, non sono spregevole, non sono debole, non sono violenta. Semplicemente, un giorno di maggio, un uomo mi ha presa e mi ha divorata
e scrivere l'aiuterà:
sono ciò che resta di una donna dopo che l'hanno stuprata. E scriverlo mi riannoda, mi ricollega, mi ripara.
Chi può stabilire quanto sia profondo il dolore individuale? Questo romanzo scava nella psicologia umana e delinea chiaramente l'ignoranza che aleggia presuntuosa intorno a certe problematiche. Si comprende cosa siano le amnesie traumatiche complete o parziali dalle quali sono colpiti la maggior parte dei bambini vittime di violenza sessuale, appurando quanto il dolore sia lancinante da dover metter in atto tali meccanismi per evitare lo strappo.
Si comprende cosa sia la memoria traumatica generata da uno stupro, involontaria, immutabile, incontenibile, una condanna continua a rivivere certi orrori con la stessa carica emotiva e gli stessi dettagli raggelanti.
Nel leggere le trascrizioni delle testimonianze delle vittime ho tremato, avrei voluto catapultarmi in quell'aula di tribunale per abbracciarle, per condividere quel dolore nella speranza di sollevarle almeno in parte.
Sì, perché quest'opera trasuda un'umanità tale da suscitare un profondo senso di fratellanza nel lettore, ricordandoci che alla fine dei nostri giorni non saremo stati altro che un essere umano che avrà scelto di stare dalla parte dell'amore o da quella dell'indifferenza.
Ho deciso di abbinare a questo libro l'iris, lo faccio perché la parola iris in greco significa arcobaleno, quell'arcobaleno di serenità che mi auguro potranno guadagnare prima o poi tutte le vittime di violenza.
L'iris, fiore noto a tutti, è presente in più di trecento specie. Nella mia esperienza personale ho piantato una varietà di iris bulbosi, non conoscendone molto le caratteristiche. L'ho fatto intuitivamente, ho scavato il terreno per circa 10/15 centimetri e poi ho inserito i singoli bulbi alla distanza uno dall'altro di mezzo metro.
Con sorpresa ho visto spuntare il risultato del mio tentativo che si è colorato di un viola incantevole. Non sono piante che richiedono cure particolari, io li ho posizionati in penombra, li ho irrigati attraverso la classica ala gocciolante, e ogni anno tornato puntualmente a colorare il mio giardino. Unica accortezza che seguo di tanto intanto, e senza neppure troppa precisione, è quella di concimare il terreno.