Ci sono tante cose dentro Qual è la via del vento di Daniela Dawan (edizioni e/o, pp. 239, euro 17): c’è la nostalgia, la paura di ritrovare luoghi reali e luoghi immaginati, c’è la partenza e il ritorno. C’è una bimba paurosa e una donna adulta incerta e irrequieta. E ci sono due mondi: quello degli ebrei di Libia prima del 1967 che in quel paese vivevano e quello degli ebrei di Libia quando, come accade alla famiglia Cohen protagonista del romanzo, sono costretti a scappare dai pogrom che accompagnano la guerra dei sei giorni tra Israele e mondo arabo.
CIRCA SEIMILA di loro fuggirono senza il passaporto (riservato a pochi notabili), ebbero un titolo di viaggio valido sei mesi e in Italia furono accolti da rifugiati sotto tutela delle Nazioni Unite. Ci vollero anni per raggiungere l’integrazione. Tra loro, c’era anche Daniela Dawan, avvocata penalista, consigliere di Cassazione che firma oggi un libro delicato per narrare la nostalgia di un ritorno possibile solo in un romanzo.
MICOL È UNA BIMBA introversa che guarda il mondo attraverso gli occhiali e il ricorso a una fantasia tenace. La morte della sorellina Leah è avvenuta prima della sua nascita ma il silenzio che protegge i genitori dal troppo dolore e il confronto con questa assenza segna i suoi giorni, anche da adulta. I giorni dei nascondigli e della fuga sono descritti con precisione di immagini e sentimenti, di odori e di sapori. Di amicizie che salvano e che pure non possono essere dichiarate.
DOPO TRENTASETTE ANNI Cohen torna in Libia con tre compagni di viaggio ultraottantenni: rispondono alla chiamata di Gheddafi che vorrebbe, una rivoluzione e tanti decenni dopo, sanare le cose con gli ebrei cacciati. Il motivo per cui dalla Libia abbiano richiesto anche la presenza di Micol Cohen è un mistero svelato nelle ultime pagine, è il racconto di un’amicizia resa impraticabile da identità differenti. In Libia Micol scopre, accanto all’improbabile e affettuoso terzetto di ottuagenari, una sinagoga devastata e abbandonata, un’altra talmente piccola e nascosta da essersi miracolosamente salvata dai pogrom, una casa in collina, un pezzo di passato, una sorella perduta, e il titolo del romanzo: «il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana, gira e rigira e sopra i suoi giri il vento ritorna», un verso dell’Ecclesiaste. Come per il vento, anche per lei, quella dell’esule è un’estraneità impossibile.