La ragazza del convenience store – Se si vuole comprendere qualcosa dell’animo giapponese e della sua società, bisogna guardare alle piccole cose. Alla dignità che per ogni individuo hanno i piccoli gesti. Non saprei definire con certezza se questo atteggiamento sia un modo per estraniarsi da un mondo che non ci comprende e nel quale sembra che non ci sia spazio per noi perché, alla fine, i grandi gesti valgono quanto i piccoli gesti se questi riescono a dare un senso alla vita. Keiko, la protagonista del romanzo, lo sa. O meglio, io immagino che lo sappia, dato che trova la propria dimensione – il proprio personalissimo concetto di armonia – nel lavoro part-time in un konbini, i convenience store giapponesi aperti 24h. Certo, agli occhi del resto del modo (le amiche, la famiglia ecc…) Keiko è quella strana, ma a me sembra solo la più lucida tra tutti i personaggi del romanzo. Sicuramente nel suo modo passivo di “subire” la realtà dimostra un coraggio fuori dal comune. Per lei non esistono sicurezze e se il proprio e privatissimo concetto di normalità coincide con un lavoro part-time, non è disposta a rinunciarvi per nulla al mondo. A poco servono i tentativi di “inserirsi”, di “conformarsi” perché alla fine Keiko è una rivoluzionaria vera, una che sceglie cosa fare della propria vita anche quando questa le offre la possibilità di una svolta. Neanche l’incontro con l’altro è catalizzatore di alcun cambiamento. Forse Keiko si è rifugiata dietro a un muro, forse no. Ma se la vita un senso lo ha, può averlo anche così: continuando a stare dietro gli scaffali di un konbini e dire “irasshaimase”. Caso letterario in Giappone – nell’ultimo viaggio che ho appena fatto a Tokyo ho trovato questo libro ancora in bella vista in libreria - è tradotto in italiano da un grandissimo Gianluca Coci. La scrittura scorre veloce e la lettura inchioda alle pagine. Bello.