Noir scritto in afrikaans da una giornalista afrikaner e ambientato nel nord-ovest sudafricano attorno a Upington. E di sangue ne scorre nel libro (anche se il titolo originale suonerebbe “Acque piangenti”: è il nome della fattoria di Huilwater, la più ricca di sorgenti in una vasta area occupata da farms di bianchi, che è l’epicentro del dramma). L’omicidio di Freddie, un’artista che vive a Huilwater, e, con lei, di una bambina che stava per adottare, può avere moventi numerosi e diversi – psicologici, sentimentali, familiari, sociali, “delinquenziali”, politici, razziali, economici… – che il detective Albertus Beeslaar, un omone venuto da Johannesburg e che mal si adatta al caldo e ai ragni del veld, si sforza di individuare.
C’è in atto «un’ondata di furti di bestiame senza precedenti». Quello di Huilwater pare l’ennesimo «assalto alla fattoria», pratica criminale emersa negli anni Novanta («In realtà non usiamo più quel termine», osserva Beeslar). La locale comunità «destrorsa» boera si sente vittima di un «genocidio» e non esiterà ad assediare la stazione di polizia. Dall’altra parte, la piccola Klara uccisa era griqua, cioè di una popolazione mista derivante dall’incrocio di coloni olandesi e donne khoikhoi, comunità esistente almeno dal XVII secolo e che rivendica le sue terre, per esempio quelle di Huilwater e farms limitrofe. Detto questo, ancor prima di aprire il volume al lettore sembrerà di intuire già dove la scrittrice voglia andare a parare… Ma niente è così ovvio, e anche il nostro detective, che tra l’altro deve fare i conti con il suo passato, l’appetito, la salute e una famiglia lasciata a Johannesburg, incapperà in false piste e dovrà ricredersi nel corso delle indagini.
Un volume corposo, ma di cui la scrittura di Karyn Brinard fa dimenticare la mole nel corso della lettura. E che, anche se nelle intenzioni dell’autrice non vuol essere un thriller sociologico, agevola l’approccio alla conoscenza di uno spicchio relativamente marginale, ma importante, della realtà sudafricana.