Veit Heinichen e Ami Scabar fanno di Trieste un impasto di sapori, poesia e alti pensieri
Autore: Alessandro Mezzena Lona
Testata: Il Piccolo
Data: 23 novembre 2010
Henri Beyle, l’immenso Stendhal del ”Rosso e il nero” e della ”Certosa di Parma”, non sopportava la bora. A Rainer Maria Rilke piaceva assai poco Trieste, appena un po’ di più di Madrid. E sembra che neanche Giacomo Casanova, da queste parti, avesse incassato i successi a cui era abituato. Però nessuno osava lamentarsi del cibo, del vino. Anzi. Sapori, profumi locali incantavano i loro sensi. Il fatto è che raccontare Trieste come fosse un corpo senza testa, come un mondo tutto idee immune dai brontolii dello stomaco, non ha senso. Perché rischia di togliere a chi non conosce la città il piacere di scoprire non solo i suoi scrittori, gli artisti, gli intellettuali che l’hanno resa famosa nel mondo. Ma l’altra anima di questo angolo di Mitteleuropa, quella più carnale. Quella, insomma, che sa gustare un buon piatto, un bicchiere di vino profumato, magari citando i versi di Umberto Saba. O riportando alla memoria ciò che James Joyce scriveva alla moglie Nora Barnacle in materia di tentazioni gastronomiche. Proprio per non tagliare l’anima di Trieste in due, e gettare al vento la parte più terragna, più godereccia, Veit Heinichen, il narratore che ha trasportato la città al centro del suo universo giallo con romanzi come ”I morti del Carso”, ”Danza macabra”, ”La calma del più forte”, è riuscito a trascinare con sé nel progetto di scrivere una giuda- non-guida una nota ristoratrice e cultrice dell’arte della gastronomia: Ami Scabar. È nato così il libro ”Trieste la città dei venti”. Dopo l’edizione in lingua tedesca, arriva anche quella italiana tradotta da Francesca Sassi e pubblicata dalla casa editrice e/o (pagg. 149, euro 16). Giovedi, alle 17, il libro verrà presentato nella Sala maggiore della Camera di Commercio di Trieste con "Incroci - Trieste la città dei venti tra storia e letteratura", talk show condotto dal giornalista Pierluigi Sabatti. Parleranno: Antonio Paoletti, presidente della Camera di Commercio; Veit Heinichen; Ami Scabar; Sandi Škerk, viticoltore e presidente del Comitato tecnico Carso; Edi Kante, viticoltore ed esperto dell' agroalimentare della provincia di Trieste. Alle 19, gli autori firmeranno i libri alla Libreria Minerva, in Via San Nicolò 20. Nei vicini Bar Ferrari e Gastronomia Masè si potranno degustare i vini prodotti da aziende vinicole del Carso. Una guida-non-guida, si diceva di ”Trieste città dei venti”. Sì, perché chi avrebbe mai pensato di raccontare un angolino d’Italia sperduto come questo tirando in ballo citazioni di Dante e Virgilio e la ricetta perfetta per preparare una jota sopraffina? Chi si sarebbe sognato di far convivere le parole di Claudio Magris e di Italo Svevo con i consigli per degustare in maniera appropriata il prezioso olio prodotto in Carso? O un bicchiere di Vitovska, un succulento presnitz bianco? Bene, Heinichen e Scabar sono partiti proprio da qui. Da questa sfida che mette in perfetta sintonia cervello e stomaco. Che non si lascia tentare da un’infastidita alzata di sopracciglio se dopo la citazione delle Sacre scritture arrivano le indicazioni precise per soddisfare il palato con quella delizia che sono gli gnocchi di susine. Del resto, i due autori non giocano a raccontare bugie. Mettono le carte in tavola fin dalle prime righe del libro: «Avete mai mangiato una gregada? Calamari e patate tagliate a fettine, disposti a strati in una teglia con un pizzico d’aglio, prezzemolo, sale e pepe, una spruzzata di vino bianco, un filo di pregiato olio d’oliva e succo di limone, il tutto servito caldo dopo un’ora di cottura in forno? Gli immigrati greci portarono con sé questa ricetta oltre duecento anni fa, quando vennero a cercare fortuna a Trieste e vi si stabilirono. I greci hanno solcato il mare in direzione delle sponde settentrionali dell’Adriatico sin dall’antichità. Un viaggio breve, se il grecale assicurava cielo terso e gonfiava le vele». Ed è proprio lì, nell’incipit, che Heinichen e Scabar sintetizzano le traiettorie del loro libro. Prima di tutto quella che dimostra come Trieste, nella cultura, nelle etnie presenti in città, nelle religioni e nelle lingue, ma soprattutto nel meticciato menu che ogni giorno accompagna i pranzi e le cene, denota un’anima robustamente multietnica. E chi insiste a credere che si possa sbandierare solo l’italianità di queste terre, sbaglia di grosso. È la Storia, insieme ai piatti che arrivano in tavola, a sbeffeggiarlo. La ”gregada” è lì a testimoniarlo. Uno dei tanti piatti ”meticci” della nostra tradizione culinaria. Accanto ai venti di Trieste, che arrivano da lontano e che una bitta sul Molo Audace li enumera tutti. In primis, quella bora che faceva scrivere a Stendhal: «Non esiterei a mostrare coraggio di fronte ai briganti di Catalogna; ma, signori, il vento mi dà reumatismi alle viscere». Da lì, dalle coordinate iniziali, può partire il viaggio alla scoperta della città e dei suoi dintorni. Si accettano scommesse sul fatto che il libro lascerà a bocca aperta anche chi s’illude di conoscere i segreti del territorio come le proprie tasche. Accanto alle grandi voci che hanno cantato, nel tempo, Trieste, si levano quelle altrettanto importanti di personaggi come Valter e Paolo Vodopivec. Che hanno fatto della borgata di Colludrozza uno dei punri di riferimento per chi ama la Vitovska e il Terrano. O come Edi Kante, che a Prepotto ha sfruttato la conformazione del Carso per realizzare tre piani di laboratorio sotterraneo da cui esce, tra l’altro, prelibata Malvasia. O, ancora, come la famiglia Starec che produce un olio di alta qualità nella zona di Bagnoli. Dolce e salato: le saline di Sicciole e le torte splendide che escono da Pirona, dalla Bomboniera o da Penso. E poi il cacao, che Joyce consigliava all’amata Nora perché riempisse un po’ di più il suo corpo nei punti giusti, il caffé che ha reso famosi nel mondo gli Illy, il pesce che ogni giorno l’Adriatico continua a regalare nonostante gli assalti sempre più feroci dell’inquinamento. Insomma, in queste pagine Trieste diventa un fascinoso incontro di sapori e di poesia, di aromi e di pensieri. Cosa chiedere di più da una città?