Arrivare a fine libro e rendersi conto che quello è solo l'inizio, perché poi viene la vita, e l'ansia di mettere in pratica i consigli scritti proprio per provare a ridurre l'ansia: ad esempio guardare il cielo, «perché è stato dimostrato che il cielo ci calma», e poi avere consapevolezza, sentirsi completi senza il desiderio di voler essere altro da ciò che siamo, saper riconoscere le cose importanti e comprendere la soggettività del proprio mondo. Un punto elenco per descrivere Vita su un pianeta nervoso di Matt Haig (edizioni e/o, pagine 408, euro 15,00), non un saggio, né un romanzo, né altra forma in cui essere incasellato. Prontuario, forse, ma anche autofiction, a tratti, passando da un'infarinatura di psicoterapia a una sorta di bibliografia di titoli di giornali ansiogeni, per fissare razionalmente un pensiero che alla fine si potrebbe riassumere in questa frase: "Siamo più connessi, ma ci sentiamo sempre più soli". Il libro si apre con una citazione dal Mago di Oz: "Totò, ho l'impressione che non siamo più in Kansas". Verrebbe allora da chiedersi dove siamo. E in effetti lo spazio, spiega Haig, ci assicura la libertà per essere e noi stessi. Anche lo spazio rappresentato dai libri, le storie, i romanzi. Altra garanzia di libertà è il tempo: «non abbiate la sensazione di dover essere sempre presenti». Poi la quantità «Nel mondo attuale tutto è in eccesso [...] Abbiamo moltiplicato tutto, ma siamo ancora individui. Ciascuno di noi è una sola persona ed è più piccolo di internet». In questo senso, meno è meglio, dice Haig, se non si vuole incorrere in quello che lui chiama «sovraccarico esistenziale». La difficoltà sta nel scegliere di fronte a tante possibilità. Come? Il più delle volte non è tanto la risposta giusta, quanto la domanda. In ultima analisi, Haig parla di ansia e paure che si alimentano in un circolo vizioso di elenchi e preoccupazioni, perché di fatto il presente è più veloce di un tempo: «Quando il progresso avviene in fretta a volte il presente assomiglia a un futuro continuo». Un tempo in cui le notifiche esplodono in tasca, in mano, poi nella testa, fino a renderci schiavi di ore che non sembrano mai abbastanza, e toglierci il sonno. Non a caso l'ad «di Netflix. Reed Hastings, ritiene che il sonno sia il principale competitor della sua azienda». Come si cambia? Partendo dal presupposto che non esistono problemi, ma soluzioni, salvo essere consapevoli che non esistono però soluzioni giuste o sbagliate in senso stretto. Esistono semmai suggerimenti, consigli, tentativi, come praticare l'astinenza dai social, non cercare sintomi medici su Google, rendersi conto che «le persone sono più di un post sui social», che l'odio online non «fornisce un obiettivo alla vostra giusta rabbia», e che è importante ricordarsi sempre di restare umani e «resistere all'algoritmo», senza tecnoscetticismi. Facile? No, ma necessario per provare a essere felici. Soprattutto se non si vuole inciampare nel tumulto interiore, ovvero la sensazione per cui «tante cose che sul breve periodo ci fanno sentire meglio poi sul lungo ci fanno stare peggio». La sensazione per cui «ci distraiamo, quando in realtà avremmo bisogno di conoscerci». Uno spazio, insomma, per cui lottare, in una contemporaneità in cui si cerca costantemente di alternare un pezzo in più, inseguire sogni più belli, affannati in rincorse mai paghe. Haig mostra un lato umano possibile: il suo. Senza ergersi a modello, più come un amico che ci è passato.