Tu puoi fare come me, scegliere di ignorare alcuni autori a favore di quelli che ti attirano al momento, ma, se sei come me, prima o poi loro torneranno a bussare alla tua porta. E’ successo così che, non ricordo quando, in un mercatino ho deciso di comprare questo libro di Massimo Carlotto. So di lui più quel “che si dice” che informazioni dirette (di questo ne parleremo in fondo alla recensione), ma oggi un’informazione in più rispetto a ieri ce l’ho: è dannatamente bravo. E lo è non solo come scrittore noir ma anche come colui che racconta la Storia, quella vera e ufficiale, quella che abbiamo vissuto tutti noi. Ripeto, tu puoi fare come me, selezionare gli autori da seguire letterariamente, ma poi, se ti arriva un “Carlotto” magari non rimandare troppo come ho fatto io.
Il tutto si svolge nel 2001, intorno al 22 luglio di quell’anno, scosso dai fatti del G8. Qualche mese prima Marco, ex galeotto, viene contattato da uno strano cliente che fatica a raccontare fino in fondo la sua storia. Il suo essere restio a raccontare non depone a suo favore ma c’è in gioco la vita di sua moglie, modella sadomaso, rapita da un fantomatico cliente e di cui da 20 giorni non si hanno notizie. Il resoconto dei fatti fa un po’ acqua, sarebbe stata rapita in un hotel dove è stata aggredita con il marito e, i rapitori, l’avrebbero portata via in pieno giorno. Marco, Beniamino il milanese e il ciccione si ritrovano, loro malgrado, ad indagare, non tanto per il cliente, quanto per Helena, la moglie.
(LettureSconclusionate)
In un’epoca in cui i generi un po’ si mischiano, qui, siamo di fronte ad un noir in piena regola. C’è una storia, un’indagine, tre investigatori fuori dalle righe con un pesante passato, c’è un mondo sommerso e in cui è difficile entrare e c’è un evento storico che tutti conosciamo, ma di cui in fondo in fondo, non abbiamo capito e carpito tutto quello che ha significato. Edward Carr, uno storico molto conosciuto che ho spesso citato in questo spazio, diceva che per capire bene il significato e l’impatto di un momento storico bisogna attendere molto, bisogna prendere le dovute distanze, perché se quell’evento ci appartiene, emozionalmente non sapremo mai interpretarlo oggettivamente. Ecco, Carlotto sfata questo assunto, con una naturalezza che mai ho trovato nelle spiegazioni di momenti cruciali dell’italica vita, attraverso un approccio diverso: guardando ai fatti in modo differente non partendo da ciò che è successo ma dalla storia di chi vi ha preso parte. Stesso metodo che mette a servizio della sua storia, che può essere un “Noir” in regola, perché non ha bisogno di tanti colpi di scena, perché la storia stessa ha un mordente tale da tenerti incollato fino all’ultima pagina per sapere come andrà a finire.
E quindi ecco un mondo che si apre, man mano che le ricerche si scorrono di pagina in pagina, spingendo i nostri “eroi diversi” a spostarsi di città in città per sbrogliare questa matassa e ad aprire la mente verso modi diversi di concepire la vita e viverla. Aprendo uno spiraglio in un mondo che si nasconde, non in quanto losco ma perché diverso, vengono mano a mano spiegati atteggiamenti e pensieri che viaggiano pericolosamente tra il perverso e il mortale e che permettono al lettore di essere partecipe nella ricerca. In mezzo, c’è la vita che bilancia tutto, e l’insieme che per alcuni minuti è sembrato strano e oscuro può essere guardato in una prospettiva nuova. Come avviene spesso in questi casi non è in discussione un giudizio sul mondo del sadomaso in sé, viene presentato solo come un dato di fatto, quel che la fa da padrone è la percezione di questo mondo da parte di chi guarda da fuori e che, osservando, mette in discussione le proprie convinzioni. Sguardo schifato? Tutt’altro, curioso sì e anche preoccupato, ma è a quel modo di guardare che poi corrisponde il livello di attenzione del gruppo osservato che, pur coltivando l’anonimato, si autotutela.
Ma siamo in un noir e l’applicazione dello sguardo divergente non sta solo alla Storia sui giornali e al mondo sommerso. Riveste tutto anche i suoi personaggi, che pur facendo parte di una serie, la saga dell’Alligatore, si presentano anche a chi non li conosce con dovizia di particolari. Non lo fanno direttamente ma attraverso le interazioni fra loro, i discorsi, i ricordi, i pensieri. Hanno vite e storie completamente diverse e le caratteristiche dei loro personali caratteri farebbero ragionevolmente pensare che sia un gruppo mal assortito pronto sempre a scoppiare. È invece qui la loro forza: l’essere così diversi li tiene uniti per compensazione e, a fine libro, non sembrano più solo amici ma parti di una sconclusionata famiglia in cui il ruolo del genitore e del figlio cambia in continuazione a seconda della situazione. Quando Marco riflette, davanti all’ignaro cliente all’inizio di queste vicende, dice che i loro metodi travalicano la legalità e infatti è così. È lui che suggerisce che sia ai fini dell’indagine e invece nel corso del libro la lettura del loro atteggiamento è diversa e più umana. È una cosa che abbiamo già visto in altri libri dello stesso genere o afferenti allo stesso: è la sottile differenza che passa fra Giustizia e “senso della giustizia” che restituisce ai personaggi delle storie tridimensionalità.
La Giustizia è un qualcosa super partes, che dovrebbe essere uguale per tutti ma che in fondo si percepisce non lo sia per nessuno. Il senso della giustizia è invece quella necessità che ti smuove da dentro, è soggettiva e per questo diversa dalla legalità. In questo i personaggi di Carlotto sono umani e verosimili, proprio nell’andar oltre, nell’agire sul momento in maniera imprevedibile anche a scapito del quadro d’insieme.
Quindi al fine la domanda, più che lecita, che vien da fare è: Perché fino ad oggi hai evitato un autore con cui invece ti sei trovata così bene?
La prima risposta sarebbe “Non so”, la seconda è un po’ più articolata. Conosco Carlotto non tanto come scrittore ma in quanto “padre” di una collana e degli autori che si sono avvicendati nella stessa. Non sono figli suoi, ma con una costanza senza pari, a quanto ho sentito, li ha sempre seguiti, ascoltati e motivati. Non è la classica motivazione da coach che lo distingue dagli altri ma una particolare predisposizione all’ascolto che lo rende prezioso e unico per chiunque io abbia conosciuto e che abbia avuto a che fare con lui.
Questo “Massimo Carlotto” che mi veniva restituito, ha creato un ambiente diverso, rispetto al mondo editoriale che di solito vedo, fatto di collaborazione e aiuto. L’ansia di non ritrovarlo nei suoi lavori, così come mi era stato raccontato, un po’ mi faceva desistere dall’intento. E invece c’è tutto, l’ascolto, il dubbio, l’attenzione ai particolari, la ricerca quasi pignola per le sfumature e l’intuito di una lettura dei fatti sbilenca appositamente per imparare a guardare al mondo mai solo da un’unica prospettiva.
Il quadro d’insieme che mi ero fatta si arricchisce con una scrittura piacevole e fluente, che non ha bisogno di orpelli e fraseggi complicati, ma si fregia, nel suo essere scorrevole, di un linguaggio da romanzo e mai trascende nella più facile prosa trasandata.
Quello di oggi è il quinto libro di una saga che, partita nel 1995, si compone di dieci volumi di cui uno è una grapich novel. Libri che, manco a dirlo, ho comprato subito dopo aver letto “Il maestro di nodi” per rimanere in questo mondo, a testimonianza di quanto abbia apprezzato l’eleganza e la pertinenza con cui si sia parlato di temi così forti in una maniera così naturale. Quindi sicuramente ne riparleremo.