Un episodio della storia della Libia poco conosciuto quello che viene rievocato da Daniela Dawan in Qual è la via del vento (e/o). Durante la guerra dei sei giorni a Tripoli si scatenò una vera e propria caccia all’ebreo. Mamma Virginia, italiana, papà Ruben e la timida figlia Micol, dopo giorni asserragliati in casa, partono in esilio per l’Italia. Su di loro grava l’ombra di una figlia morta a nove anni prima della nascita di Micol.
Lei è nata in Libia e Micol quando cresce diventa come lei avvocato. Si è ispirata a un episodio della sua vita?
«Sì, ho vissuto lo stesso esilio dei protagonisti del libro quando avevo dieci anni. La città fu messa a ferro e fuoco e partimmo per l’Italia».
Quello che avvenne in Libia si può definire un piccolo Olocausto?
«In un certo senso sì, ne sono stati uccisi tanti, verso di noi c’era un odio feroce. Anche oggi questo odio è rimasto. Nessun esule è più tornato».
Perché i genitori di Micol le hanno sempre tenuto nascoste le circostanze della morte della sorella?
«Hanno cercato di dimenticare la loro ferita con l’oblio, anche per il senso di colpa legato alle circostanze della sua morte che solo da adulta Micol scoprirà, dando dei contorni al fantasma della sorella mai conosciuta».