Toglietemi tutto ma non rum, canne e sesso. Nell'Avana ridotta allo stremo dalla crisi di metà degli anni '90 tanto basta ad un intellettuale anarchico, ipertestosteronico, "senza niente da fare" e senza più alcuna puzza sotto il naso per andare avanti a ingoiare i rospi di una rivoluzione che, proprio come Dio, non ha saputo assicurare giustizia, equità e libertà a tutti e destituire così di fondamento le due basilari regole di vita pronunciata da una delle tante comparse di questi racconti: "ogni essere umano ha il diritto di fare quello che meglio crede e nessuno è obbligato a rispettare la regola di cui sopra". Carpe diem, dunque, e Pedro Juan lo afferra con la pertinacia di chi non ha altra opportunità che sguazzare nelle sordidezze e altra soddisfazione che godere degli effimeri piaceri (carnali e chimici) che la sua miseria gli può regalare. Che tra tanto cinismo riescano a insinuarsi anche brevi riflessioni sull'etica e sulla politica è un geniale paradosso.