Dopo anni di lontananza, io che pecco talora di memoria corta e incostanza, ho inaugurato un nuovo anno di letture facendo ritorno al rione. Il passo finalmente sicuro, uno sguardo più abituato a cogliere la poesia delle piccole cose e a mo' di bussola, tanto di cappello allora alla spassionata fedeltà della sceneggiatura, la miniserie Rai del bravissimo Saverio Costanzo. Ho usato la trasposizione televisiva, con il senno di poi perfetta tanto nella resa visiva quanto nella puntualità dei gesti e delle situazioni, come ripasso generale. E durante questo inverno crudele che porta presso le città costiere la neve a fiocchi pesanti e altri malanni, io come tanti, fra frequenti indigestioni da cenone e raffreddori stagionali, ho scelto volutamente di ammalarmi – ma della febbre Elena Ferrante. Un contagio che in libreria avanza, incalza, martella, a tal punto da vincere i sistemi immunitari dei lettori riottosi. Un'influenza di quelle belle, bellissime, a cui è impossibile resistere rifuggendo la pazza folla: questa volta, tocca ribadirlo, i best-seller hanno ragione. All'indomani di una tesi che mi aveva guidato nella Napoli sismica del teatro post-eduardiano, fra contraddizioni dolenti e pastiere irresistibili, sono tornato alle origini con qualche consapevolezza aggiunta, tutti e quattro i romanzi già sul comodino e una maturata pazienza. Il sangue del Sud, l'accento pure. Nelle orecchie, Lila e Lenù che mi parlavano per tutto il tempo con la voce delle interpreti Gaia Girace e Margherita Mazzucco. Stesse inflessioni, stessi non-detti, stessa fierezza da ingoiare a forza sotto forma di bocconi quanto mai amarissimi. Non le ho lasciate, così, nell'estate di quattro anni fa, ma soltanto lo scorso dicembre: con i titoli di coda che le sorprendevano dal nulla proprio durante quel fatidico matrimonio, protagoniste di una consapevolezza che mortificava all'improvviso il candore speranzoso delle spose novelle.
«Non volevo che mi vedessi.»
«Gli altri ti possono vedere e io no?»
«Degli altri non m'importa, di te sì.»
Se moglie ad appena sedici anni, no, la tua storia non può mica finire lì: può soltanto cominciare. Con un nuovo cognome come da titolo – Carracci –, e nuove conseguenze imprevedibili sulle vite degli altri. Soprattutto su quella di Lenù, nemica adoratissima, che per sua fortuna può dedicarsi allo studio, non ai degradanti doveri del talamo coniugale; al successo professionale, non alla prole da educare.
Queste cinquecento pagine scarse contengono i sei anni immediatamente successivi.
All'una tocca accettare a malincuore le leggi non scritte del rione – gli schiaffoni, le logiche economiche, l'aggressività di quel degno erede di Don Achille che in casa getta via la maschera – e, riposta la solita superbia, si scopre che a poco servono il lusso della vasca da bagno, la gigantografia nel negozio a Piazza dei Martiri, i privilegi di scoprirsi la moglie di un munifico salumiere sempre con le mani in pasta, contro la paura e la tentazione della “smarginatura”. Lila si vergogna, si annoia, e per capriccio rovina ogni cosa – le relazioni, i pranzi e le cene, le vacanze al mare – quando non è lei l'anima della festa.
Quanta verità c'era in quella frase, leitmotiv della loro lunga complicità: quello che fai tu, faccio io? Mentre la sua amica geniale si ferma alla terza elementare, Lenù – raisoneur intellettuale, osservatrice ai margini dell'azione, confidente per eccellenza – punta prima alla maturità a pieni voti, poi a Pisa, infine a Milano. Ci si allontana dal rione, infatti, soltanto per merito o per la leva obbligatoria. E lei ha scelto di brillare studiando per non diventare come le donne del quartiere: vittime dei padri padroni e dei fratelli, dei mariti, e perfino di una forza di gravità che inevitabilmente ne amplia i girovita e ne appesantisce i seni.
Anche se sei meglio di me, anche se sai più cose di me, non mi lasciare.
Via gli occhiali antiquati, via la cadenza campana, via l'imbarazzo dei brufoli. Via una notte, sul bagnasciuga, il fardello della verginità, e purtroppo con la persona sbagliata. Eternamente inadeguata, fuori posto, la narratrice è troppo intelligente per la provincia, troppo provinciale per l'università. Troppo dimessa e troppo fortunata per qualcuno come la signora Carracci, sciantosa e miserabile contemporaneamente. Crescere la costringere a involversi, a mostrarsi orgogliosa e sboccata – insomma, più Lila –, per non essere fagocitata in un giunga di pendolari rumorosi e letterati dalle mani lunghe. E Lila, allo stesso tempo, diventa più lei. Si alternano, si avvicendano, si inseguono. Agli amori dell'una corrisponde l'abbandono dell'altra, al rifulgere lo sfiorire. In principio per superarsi smaccatamente, competitive come lo erano sotto la guida della maestra Oliviero a scuola; qui per darsi forza. Anche a costo di rubarsi a vicenda sogni, libri e fidanzati, per poi fare a metà di tutto.
Com'è facile raccontare di me senza Lila: il tempo si acquieta e i fatti salienti scivolano lungo il filo degli anni come valigie sul nastro di un aeroporto; li prendi, li metti sulla pagina ed è fatta. Più complicato è dire ciò che in quegli stessi anni accadde a lei. Il nastro allora rallenta, accelera, curva bruscamente, esce dai binari. Le valigie cadono, si aprono, il loro contenuto si sparpaglia di qua e di là. Oggetti suoi finiscono tra i miei […].
Rispetto al primo romanzo i nomi si calcificano nella memoria, non si corre a sbirciare lo schema riassuntivo in apertura in preda alla confusione. Si snelliscono i collegamenti, le parentele, le rivalità fra Carracci e Solara – Stefano e Marcello diventano soci del calzaturificio Cerullo – e il rione appare un microcosmo ormai familiare.
Fa bene cambiare aria, però, e c'è il mare che guarisce ogni cosa: i ventri aridi, la nostalgia. Appiana i divari. Le amiche del cuore di Elena Ferrante, benché abbiano cuori enormi e un po' cattivi, si concedono una villeggiatura nella parte più emozionante dell'intero romanzo: la leggerezza che ogni estate dei diciotto anni si merita, le confidenze in una Ischia da viversi non più in solitaria, le onde che restituiscono a riva le apparizioni dell'amato Nino Sarratore e i segni premonitori della tempesta imminente. Lenù resta sotto l'ombrellone, impacciata nel costume intero che stringe impietoso sulla silhouette di cui si cruccia; Lila impara a nuotare. E nuota meglio di lei, forte e lontano: irraggiungibile?
Storia del nuovo cognome è il tassello immancabile di una saga al femminile che cresce di volume in volume, un sì decisivo. Una scatola salvata alla furia dell'Arno per ricostruire coi brividi a fior di pelle gli amori e gli odi alterni; le sofferenze tenute segrete, i traguardi ostentati, e viceversa; le parole che non si sono mai dette. Quello che sono diventate quando, purtroppo o per fortuna, lontane. Nel cuore dell'azione, nei ventricoli della vita, nel sangue dei ricordi.
Il mio voto: ★★★★★
Il mio consiglio musicale: Nada – Senza un perché