Esiste un confine tra i celebri due lati della stessa medaglia. Sottile, ma esiste. Tra legalità e illegalità. Tra fedeltà e tradimento. Tra amore e odio. Su su, fino alle vette: tra luce e oscurità. E’ l’anima, e come la stessa è stata “educata” a rispondere alle sollecitazioni della vita. E’ lei la convitata di pietra di Mogador, romanzo del tedesco Martin Mosebach – scrittore e letterato che tra l’altro ha avuto numerosi riconoscimenti in patria, come la Goethe Plakette della città di Francoforte e l’Heinrich von Kleist Preis, ma di cui questa è la prima opera tradotta in italiano – ambientato nell’omonima città di mare marocchina, già colonia portoghese, conosciuta come Essaouira, e costruito – con linguaggio ricco e raffinato, quanto mai inusitato per i tempi odierni della velocità social – come un viaggio introspettivo dentro se stessi, i propri pensieri, le proprie volontà, le proprie pulsioni.
Chi è, e vuole essere, Patrick Elff, protagonista numero uno della storia: un bancario truffatore “senza volontà” (dagli echi musiliani), che copre operazioni illecite di un collaboratore scaltro e assetato di vendetta per una carriera mai cominciata, o un insipido e classico borghese nella tipica città della Germania produttiva? Chi è, e vuole essere, Khadija, la donna che ospita nella sua casa in Marocco Elff in fuga per l’inizio di un’inchiesta giudiziaria che sembra coinvolgerlo: una benefattrice con arti divinatorie, vedova e con due figli sulle spalle, o una megera dedita oltretutto al prestare soldi e allo sfruttamento della prostituzione? Chi sono le loro rispettive “spalle”: Pilar, moglie amata e temuta, prigioniera con Patrick di un rapporto tra detto e non detto; e Karim, collaboratore che Khadija immagina fidato, ma che si rivela sleale e un po’ troppo dedito all’alcol, oltre che alle donne? E chi è, soprattutto, monsieur Pereira, vero motore iniziale dell’ingranaggio, affascinante e spregiudicato finanziere marocchino, amico di re e governanti, che incastra Elff in un’attività di riciclaggio internazionale apparentemente senza rischi, ma che lo spinge a lasciare tutto e a tradirsi? “Follow the money”, si diceva nel film Tutti gli uomini del presidente. Ma non è un thriller finanziario, questo. E nemmeno un atto d’accusa contro il malaffare. E’ piuttosto l’esperienza di un sogno, la discesa dantesca verso gli inferi, da cui si emerge per finire nelle braccia della giustizia: quella terrena (Elff) o quella “divina” (Khadija). In superficie il filo apparente ma molto materiale che si lascia dietro il denaro, nei suoi spostamenti, da una tasca all’altra, così come da una banca d’investimento a un fondo collocato in un paradiso fiscale. Dentro scavano le profondità dell’essere umano, ingaggiato nell’eterna lotta di scelte definite e talvolta definitive per il proprio posto nel mondo.
Il confine che divide, e alla fine lega, con un ineliminabile tratto di porosità, bene e male, è lì per tutti. Ed è visibile. Basta decidere dove andare. Di qua o di là.