Nel suo saggio fondamentale Il romanzo storico, Gyorgy Lukacs scrive che questo particolare tipo di romanzo deve contenere al suo interno la storia di un popolo. È nota però la natura multiforme di questo genere, che fugge continuamente dalle maglie strette della teoria per allontanarsi verso modalità molto differenti tra loro. Una di queste però sembra essere quella in grado di parlare in maniera più onesta e necessaria, quella che prende il proprio punto di vista dagli ultimi, personaggi semplici e comuni che subiscono il corso della storia. «Uno scandalo che dura da diecimila anni» definisce Elsa Morante la storia nel romanzo del 1974, affrontandola di petto, attraverso personaggi immaginari, ma verosimili (Manzoni docet), che si trovavano travolti dalla Storia ufficiale, quella che non risparmia nessuno e che viene ricordata dalla scrittrice con le pagine che anticipano ogni capitolo e ricordano le tragedie comuni a tutti.
Ci sono tre libri, recentemente pubblicati, che con coraggio propongono un punto di vista simile riguardo al racconto storico e che, nonostante le ovvie differenze del soggetto e di stile, consegnano al lettore un materiale poco rassicurante e addomesticabile, gettandolo in pieno in una riflessione non solo sul racconto che la letteratura può fare degli eventi, ma anche sull'ombra lunga, e mai arrestabile, delle conseguenze della storia. Si tratta del romanzo di Eric Vuillard, L'ordine del giorno, pubblicato dalle edizioni E/O con la traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca che racconta le combinazioni degli interessi economici nella nascita della Germania nazista, 1947 di Elisabeth Åsbrink (Iperborea con traduzione di Alessandro Borini), che si concentra sui fatti di un anno cruciale nella storia mondiale e, infine, Incerta gloria di Joan Sales (finalmente pubblicato da Nottetempo dopo una travagliata vicenda editoriale, con la traduzione di Amaranta Sbardella) che situa la sua materia attorno all'anno 1937 e alla guerra civile spagnola. Come si vede le differenze geografiche sono evidenti e notevoli, ma questo attribuisce a questi testi, e alla successiva riflessione, un'ulteriore ricchezza, quella di rendere questo materiale esteso e quasi universale, non rimanendo quindi chiuso tra i confini nazionali ma spalancando invece le porte su un ragionamento necessario sulle possibilità che il romanzo, o altre forme ibride, ha di raccontare la storia.
Il romanzo di Vuillard, vincitore del premio Goncourt 2017 e costruito su una scrittura millimetrica ed evocativa che non perde niente con la traduzione in italiano, si apre su un incontro, realmente avvenuto, tra importanti industriali tedeschi e Hitler, occasione per stipulare un patto economico a sostegno dell'ascesa del Fuhrer, e si chiude con alcuni frammenti successivi al processo di Norimberga, ovvero dopo che tutta la violenza tedesca si è riversata nell'Europa e nel mondo. Nel mezzo ci sono l'invasione dell'Austria, le violenze e le persecuzioni, in una serrata dialettica tra i ricchi industriali e politici che si muovono in sontuosi palazzi, e i poveri cittadini, questi senza nome a differenza degli altri, che subiscono le conseguenze di ciò che da altri è stato deciso e concordato. Ma in questo libro Vuillard fa un ulteriore scatto in avanti, scegliendo come protagonista principale la Storia, che necessita di essere raccontata dalla letteratura. In un racconto che fonde la storiografia, moltissima, il romanzesco, assai meno, Vuillard riesce a tratteggiare un ritratto di questo gigante protagonista intrecciando politica, economia e società, mettendone in luce i pericoli e i rischi: ciò che infatti scorre tra le pagine di Vuillard, e che viene sapientemente trasmesso al lettore, è la consapevolezza che la storia, questa terribile storia, possa continuamente replicarsi, con la coscienza che il potere, della tipologia di quello che si insinua tra queste pagine, sia in grado anche di controllarla e aggiustarla secondo le sue esigenze.
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