“In quel grande ciarpame di miseria in cui si stanno già preparando i peggiori avvenimenti domina un misterioso rispetto per la menzogna. Le manovre sbaragliano i fatti, e le dichiarazioni dei nostri capi di Stato saranno spesso spazzate via come un tetto di lamiera da un temporale primaverile”, annota lo spettatore della Storia. Éric Vuillard ne L’ordine del giorno, appena pubblicato dalle edizioni E/O – premio Goncourt 2017 – ci regala un romanzo denso e inconsueto su una parte di storia che credevamo di conoscere. L’Anschluss ovvero quando la Germania nazista decide di prendersi l’Austria ed entra trionfalmente a Vienna. La penna ironica di Vuillard – scrittore e cineasta francese di grande talento – disseziona le immagini ufficiali, il racconto dei cinegiornali d’epoca, scava negli archivi e ci racconta magistralmente il dietro le quinte del celebrato trionfo nazista. Un bluff, una pantomima a uso e consumo delle masse che poi saranno trascinate nella follia nazionalsocialista.
“La Storia si svolge davanti ai nostri occhi come un film di Joseph Goebbels – scrive l’autore –. È straordinario, i cinegiornali tedeschi diventano un modello di finzione. Così l’Anschluss sembra un magnifico successo, ma è chiaro che le acclamazioni sono state aggiunte alle immagini in seguito; sono postsincronizzate, come si dice adesso. Ed è molto possibile che le ovazioni insensate per le apparizioni del Führer non siano state quelle che sentiamo”. Il lettore attento troverà non pochi rimandi all’attualità in questo libro denso di episodi agrodolci del Novecento che non sono solo colore o contesto ma che raccontano la miseria umana e i personali vantaggi o le comodità del momento messe davanti a un “ordine del giorno” da firmare o a una decisione da prendere per il bene comune.
“Ho rivisto quei filmati. Certo, non c’è dubbio che fossero stati fatti venire militanti nazisti da tutta l’Austria, che fossero stati arrestati oppositori ed ebrei, che fosse una folla selezionata e purgata, ma gli austriaci ci sono eccome, non è soltanto una folla da cinema”, scrive l’autore. Eppure non tutto è andato come previsto e nel racconto esilarante di Vuillard viene narrata la “lamiera vuota” della Wehrmacht, cioè l’immenso ingorgo di panzer alle porte di Vienna, la furia del Führer per i carri armati in panne bisognosi di un meccanico, sembra un film comico. Il dietro le quinte di questa annessione – Göring infatti minaccia di “abbattersi sull’Austria” ma si scoprirà che è un linguaggio cifrato perché sa di essere ascoltato – ci mostra come il mondo intero cede al bluff dei nazisti: “poi i treni portarono i blindati come fossero impianti da circo” mentre le democrazie europee opposero all’invasione una “rassegnazione affascinata”. Nel mentre, a Londra, Ribbentrop fu invitato da Chamberlain a un pranzo d’addio perché l’ambasciatore del Reich aveva ottenuto una promozione. Prima della guerra Chamberlain affittava uno dei suoi appartamenti proprio all’inquilino Ribbentrop in quel di Eaton Square: “È probabile che Chamberlain ricevesse l’affitto tra una brutta notizia e l’altra, tra un colpo basso e l’altro, ma bisogna pure che gli affari girino. Nessuno quindi ci ha visto anomalie, nessuno ha attribuito il minimo significato a quel pezzetto di diritto romano, niente”, racconta Vuillard.
Ma se le più grandi catastrofi si annunciano spesso a piccoli passi – questa la tesi dell’autore – è significativo menzionare tutti i personaggi di questa tragedia, protagonisti, co-protagonisti e terze file. Alcuni complici della barbarie di quei giorni hanno semplicemente cambiato d’abito e presiedono indisturbati consigli di amministrazione e quant’altro. Sono gli affari, così va il mondo. Il romanzo inizia infatti con un pranzo di lavoro cioè una riunione segreta tra i rappresentanti delle più alte sfere dell’industria e della finanza tedesche, ventiquattro signori che incontrano un sorridente e rilassato Hitler: “Bisognava farla finita con un regime debole, allontanare la minaccia comunista, sopprimere i sindacati e permettere a ogni padrone di essere un Führer nella propria impresa”, questo il succo del discorso del nuovo cancelliere. I signori annuirono tutti e versarono quindi qualche centinaio di migliaia di marchi. “I ventiquattro non si chiamano Schnitzler, Witzleben, Schmitt… come lo stato civile ci incita a credere, si chiamano BASF, Bayer, Agfa, Opel, IG Farben, Siemens, Allianz, Telefunken – sottolinea l’autore –. Sono fra noi e intorno a noi. Sono dappertutto sotto forma di cose. La nostra quotidianità è la loro. Ci curano, ci vestono, ci illuminano, ci cullano”. Per anni molti di questi signori con le loro imprese hanno noleggiato deportati da Buchenwald, Flossenbürg, Ravensbrück, Sachsenhausen, Auschwitz e vari altri campi di concentramento. “Di un lotto di seicento deportati arrivati alle fabbriche Krupp nel 1943, l’anno dopo ne rimanevano venti. Una delle ultime azioni ufficiali di Gustav (Krupp), prima di cedere le redini al figlio, fu la creazione della Berthawerk, una fabbrica-campo di concentramento che portava il nome della moglie, a mo’ di dedica”. Gli interstizi e gli accidenti della Storia così ben raccontati da Éric Vuillard ne L’ordine del giorno parlano a noi e di noi, di miserie umane e altre vigliaccherie, per questo è un libro che andrebbe fatto leggere anche ai ragazzi.