In estate, nei luoghi magnifici della Sardegna, va in scena il perfetto noir mediterraneo, che ricorda molto i grandi della letteratura hard-boiled, tipo Hammett o Chandler, a partire dal protagonista: Franco Zanna, diventato suo malgrado paparazzo, perché era stato troppo bravo come reporter, e che già aveva fatto da protagonista nel precedente romanzo di Ruju, Nero di mare. Qui è costretto dalle circostanze a inventarsi investigatore privato, dopo una serie di incendi che distruggono ettari del territorio dove si era rifugiato.
È l’industria degli incendi indagata profondamente dallo scrittore sardo, un’industria legata con le varie mafie, che distruggono buona parte delle coste del Mediterraneo, dalla Grecia alla Francia, non dimenticandosi dell’Italia, isole comprese, per fare speculazione edilizia. È tipico della collana Sabot/Age delle Edizioni E/O fare letteratura d’indagine. Qui c’è molta ironia, e una forza dissacrante tra bevute di Nepente e abbardente, birre e mirto, storie torbide e situazioni divertenti riguardo ai vip sulle spiagge incantate dove spadroneggiano.
Il romanzo si legge tutto d’un fiato, la scrittura di Ruju è estremamente appassionante: dialoghi che filano, un bel numero di personaggi, in particolare femminili, che restano impressi, l’umanità del disilluso protagonista. E poi ci si diverte, le avventure sono davvero tante come in un film di Polanski, e la storia tremendamente verosimile.
Ne abbiamo parlato con Pasquale Ruju.
Stagione di cenere è ambientato in Sardegna. Perché? Poteva esserlo in un’altra città italiana?
No. La Sardegna è protagonista in questo romanzo tanto quanto gli altri personaggi, e soprattutto quanto ‘l’eroe per caso’ Franco Zanna. Non è un semplice sfondo, una cornice, ma determina il suo modo di pensare, la sua etica e di conseguenza le sue azioni.
La Sardegna è nel Nero di mare del primo romanzo e ancora di più in questa Stagione di cenere. È casa, culla e confine. Ambientata altrove, quella di Zanna sarebbe stata una storia del tutto diversa.
Come è nato e si è sviluppato questo romanzo?
Stagione di cenere nasce come seconda parte di una trilogia iniziata con Nero di mare. Dopo tanti anni di narrazioni ambientate all’estero (la Londra di Dylan Dog, L’Arizona di Tex e Cassidy, la Marsiglia di Demian, la Chicago di Hellnoir, ecc.), e dopo un primo romanzo che si muove fra Calabria e Piemonte, avevo voglia di confrontarmi finalmente con la mia terra natale, sia pure a modo mio. In particolare, mi interessava contrapporre il contesto assolutamente locale della Barbagia a quello internazionale della Costa Smeralda. Esiste un conflitto latente fra queste due parti della Sardegna. Un conflitto di valori, di carattere, di mentalità, che secondo me poteva trasformarsi in un potente motore di storie.
Dietro Stagione di cenere c’è una profonda indagine sull’industria degli incendi, tra speculazione edilizia e criminalità. È così?
È un problema che ho vissuto sulla mia pelle fin da ragazzo, soprattutto al mare, ogni estate, negli stessi luoghi in cui è ambientato il romanzo. Capitava di tornare da un locale, a mezzanotte, infilare gli scarponi e partire per aiutare a spegnere un incendio, o anche solo di pregare perché il vento cambiasse e il fronte del fuoco risparmiasse le nostre case. Anche allora mi chiedevo se quel disastro, quella piaga, fosse solo opera di pochi, isolati piromani.
Stagione di cenere, come anche Nero di mare, è inserito nella collana Sabot/Age, curata e diretta per le Edizioni E/O dallo scrittore Massimo Carlotto e da Colomba Rossi. Una collana che si prefigge di affrontare tematiche e problemi legati alla realtà nazionale attraverso una narrazione noir. Problemi come quello degli incendi.
Scrivendo questo romanzo ho provato a cercare – e offrire – qualche spunto di riflessione. Non si è mai parlato abbastanza dei legami fra i cosiddetti ‘piromani’ e la criminalità organizzata, come non si parlato abbastanza della convergenza di interessi che sta dietro a ogni “stagione di cenere”. Ricatti, posti di lavoro, speculazioni edilizie, smaltimento illegale di rifiuti tossici, fondi statali… Più si scava e più viene da farsi domande. La speranza è che prima o poi – dallo Stato, dalla politica e dalla Giustizia – comincino ad arrivare vere risposte.
Il personaggio di Franco Zanna ricorda certi personaggi disincantati alla Marlowe di Raymond Chandler, come l’ambiente di corruzione indagato è simile a quello dell’hard-boiled. O sbaglio? Quali sono le tue influenze e/o modelli?
Di certo gli autori legati all’hard-boiled e al noir. Da Chandler e Hammett a Manchette, da Winslow e Lansdale a Jean-Claude Izzo, senza dimenticare i nostri Massimo Carlotto, Andrea Camilleri, Sandrone Dazieri e tanti altri ottimi scrittori. Zanna agisce in una sorta di “Hard-boiled Mediterraneo”, in cui vediamo l’isola di Tavolara svettare al posto dei grattacieli di Chicago o della cattedrale di Marsiglia, e una vecchia Alfa scassata correre dietro ai cattivi al posto di una Mustang o di una Corvette. La scommessa era unire le peculiarità dell’ambientazione agli stilemi del romanzo di genere, mantenendo una narrazione coerente e credibile. Ai lettori spetterà giudicare se la scommessa sia stata vinta o meno.
Vedremo Franco Zanna in altri tuoi libri? Tornerà a fare il reporter impegnato al nord? Sarebbe utile…
Per ora è previsto un terzo romanzo, sempre ambientato in Sardegna, che scioglierà alcuni nodi della storia. In futuro, chissà…
E progetti futuri extra-Zanna?
Di certo tante sceneggiature di Tex. Poi una miniserie a fumetti, un adattamento teatrale e due graphic novel. Più avanti forse un nuovo romanzo e un progetto cinematografico. Insomma, finché potrò continuerò a fare quello che più mi piace: raccontare storie.