La scelta di leggere Luca è scaturita dalla notizia della pubblicazione del nuovo libro “Negli occhi di Timea” (Edizioni E/O, 2018 prezzo 16,50€) e solo in seguito ho scoperto che si trattava di un dittico; ho quindi rintracciato il precedente che devo ammettere, ora che l’ho letto, mi sarebbe spiaciuto perdere.
Inquadriamo prima lo scrittore e poi i libri in questione: Luca Poldelmengo, classe 1973, è uno sceneggiatore ed esordisce nel 2009 con un noir “Odia il prossimo tuo” (Kowalski). Nel tempo ho imparato che gli sceneggiatori, perdonatemi il divertissement, “lo fanno meglio”. Non tutto, ma hanno quella mano magica nel riuscire ad inquadrare la scena dove si svolgono le azioni, raccontare le scazzottate e negli ultimi tempi anche i dialoghi. E’ infatti difficile che si perda “il chi dice cosa” con loro, proprio perché hanno questo talento nel saper cogliere il ritmo e raccontare i tempi di un botta e risposta che è un’arte perduta, anche nei libri pubblicati dai big dell’editoria.
La particolarità di questa dilogia è data dal fatto che la complessità sulla quale Poldelmengo costruisce questi suoi romanzi, con un forte carattere thrilleristico, è eretta su un terreno diverso dal solito. Quello sfondo che aiuta ad inquadrare la situazione si sfoca, l’azione si riempie di sospesi non detti e la questione che muove l’azione è etica e filosofica invece che terrena e pratica.
Siamo in una metropoli, decisamente riconoscibile, ma che non necessita di essere nominata perché non è quello un riferimento utile.
L’azione si apre con una chiamata a cui risponde Vincent Tripaldi; chi chiama è Basile, il capo della RED, che richiede la sua presenza pur sapendo che è in ferie. Mai telefonata fu più utile per uscire dalla noia. Buio.
Siamo in una stazione, un treno è appena arrivato; sta aspettando che i passeggeri scendano o salgano per poter partire verso la fermata successiva. La città è la stessa ma il tempo è diverso. Buio.
Siamo tornati al presente in un parco della città, che al centro ha un laghetto da cui è riemerso un corpo. Basta uno sguardo al volto che viene fuori dal sacco del medico legale, dove è stato messo, per gelare il sangue a tutti. La vittima è Naima una delle componenti del loro gruppo. La squadra non ci sta ad essere lasciata fuori e decide di indagare lo stesso.
La RED è una squadra speciale e nascosta che utilizza tecniche innovative di ipnosi e lettura degli impulsi elettrici della mente per ricostruire virtualmente e digitalmente le immagini che ignari passanti, sui luoghi dei delitti, non sanno di aver notato. E’ una tecnica poco conosciuta perché influisce in maniera sostanziale sulla psiche delle vittime portando a galla, a volte, cose che dovrebbero rimanere private e nascoste anche al soggetto stesso. Una violazione della privacy ma per “ragioni di stato”.
Suppongo che si capisca perché i contorni e gli sfondi si sfocano, perché in effetti il thriller si gioca su piani affatto pratici ma strettamente etici e filosofici che hanno impatto sia sulla personalità dei coinvolti e sia sulla percezione dell’attività di questa squadra, di stato e quindi autorizzata in segreto ad agire così, da parte della collettività. Giusto per complicare la vita anche dei lettori finanche i personaggi, attorno ai quali si svolgono i fatti, non sembrano così particolari di primo impatto. L’autore infatti sceglie di svelarne le particolarità pian piano quando trova spazio, cogliendo l’occasione un atteggiamento che sembra fuori posto ad esempio, e sceglie anche di rendere ancora più complessa la vicenda inserendo nel gruppo, estremamente orientato verso gli obiettivi, un elemento discorde per la cui presenza sembra dare una spiegazione sommaria e che invece ha il ruolo di pesante contrafforte verso una situazione generale che altrimenti risulterebbe scontata e asettica.
Se da una parte son tutti belli, fighi e eroi, la voce dell’altro lato della bilancia è umana, sudaticcia, bassa e anche un po’ anonima. E sembra un po’ anche una metafora: il potere che impone ad una “moltitudine” normale regole che non le appartengono. Starci o non starci non è questo il punto, ma piuttosto il metodo di raccolta di queste anomale deposizioni e la ragione per cui si fa.
I due libri, di cui l’ultimo sarà oggetto di una recensione dedicata giusto per evitare spoiler, sono entrambi auto concludenti, ma in effetti, come avviene per il tema che li vede accomunati, potrebbero avere tanti capitoli-libri su cui sviscerare una questione che da tempo immemore è oggetto di studio. Le principali scuole di pensiero sono riassunte egregiamente dal gruppo che si contrappone al singolo, ed è per questo che i personaggi non appaiono particolari sin da subito. E’ un raffinato congegno quello che Poldelmengo costruisce, dosando i pesi e le misure, e, quando una parte sembra soccombere all’altra, viene alla luce un particolare o un caso che sembra riequilibrare il piano su cui si contrappongono. Quindi, pensando a questo romanzo, trascurare questa architettura a favore di una lettura superficiale sarebbe un vero delitto, perché è come un esercizio su cui provarsi per capire se davvero sceglieremmo un lato o l’altro della barricata. E’ probabile che decidiate quel che a me sembra più corretto, ovvero che la verità sta nel mezzo e che nessuno ha ragione. Quello che Poldelmengo vi ricorderà comunque alla fine di ogni libro è che, sebbene abbia sfumato luoghi e personaggi, abbia sfocato palazzi dove si decide, città in cui si passa, quella realtà dalla quale ha preso spunto per parlare di “ragion di stato” si fonda su una tecnica che è realmente utilizzata oggi in America.
Non serve a mettervi l’ansia ma a ricordare che delle volte non è necessario inventare nulla; la realtà va molto stesso ben oltre la fantasia. Quindi basta cogliere le caratteristiche principali e metterle nella giusta prospettiva, evidenziando atteggiamenti e argomentazioni con i giusti personaggi, spogliati della loro ispirazione reale di cui conservano però il caratteri che li ha resi perfetti per il ruolo che ricoprono. È come un grande gioco da tavolo in cui a collegamento delle pedine esistono dei fili appartenenti alla trama di questa storia. È talmente ben costruito che, questo intricato sistema di contrappesi in mani meno avvedute sarebbe risultato falsato proprio da questi contorni non definiti, e invece risulta verosimile dalla prima all’ultima parola come facesse riferimento a fatti realmente accaduti.
A supporto a tutta questa architettura si aggiunge anche la scorrevolezza, a questo punto posso dire al terzo libro, che pare essere una caratteristica costante per questo autore; sono ben evidenti, le tensioni che si vengono a formare nel gruppo nelle rivelazioni che si susseguono che usufruiscono, per essere più evidenti, del talento dello sceneggiatore soprattutto quando si contrappongono, anche se in silenzio risentito, e altrettanto controllata risulta la tensione che inizialmente è costante e che poi esplode in un finale atteso ma non nello svolgimento che ci si presenta.
Veramente un bel lavoro che ti da la stessa soddisfazione di aver visto un film e ti lascia la voglia di leggere il successivo come fosse la parte di una serie, con la certezza che il secondo capitolo di questa vicenda c’è già e secondo me non preclude nemmeno a vicende successive, anche se in questo caso non ho domandato all’autore nulla in merito.
E’ un libro consigliato sopratutto per questa sua caratteristica, ovvero quella di fare la differenza nel campo thrilleristico dando veramente un aspetto umano ai nostri dubbi e pensieri traversi, con uno stile impeccabile che non perde un colpo fino all’ultima parola. Che poi, come detto, “ultima” non è mai!