“Si dice che la letteratura consenta tutto. Potrei quindi farli girare all’infinito sulla scala di Penrose, non riuscirebbero più a scendere né salire, farebbero sempre entrambe le cose nello stesso tempi. E in realtà un po’ questo l’effetto che ci fanno i libri. Il tempo delle parole, compatto o liquido, impenetrabile o fitto, denso, stirato, granuloso, pietrifica i movimenti, li cristalizza. I nostri personaggi sono nel palazzo per sempre, folgorati fin dall’ingresso, reso di sasso, paralizzati. Le porte sono contemporaneamente aperte e chiuse. La tromba delle scale brilla, ma è vuota, il lampadario oscilla, ma è morto. Nello stesso istante siamo ovunque nel tempo.”
Éric Vuillard, vincitore nel 2017 del premio Goncourt, tenta ne il suo “L’ordine del giorno” di fornirci delle istantanee precise e dettagliate che possano farci tornare indietro al momento dell’ascesa nazista. In questo modo raccontarci, passo per passo, tutti i segreti che si nascondono dietro l’Anschluss, l’annesione dell’Austria avvenuta quel fatidico 11 marzo 1938: le meccanizzazioni, i ricatti, tutti i giochi di interesse tra le maggiori potenze economiche.
E così, pur breve che sia, il romanzo riesce a far superare al lettore la pagina di storia che ha imparato a conoscere, per andare oltre e scoprire tutti i dettagli che finora si era perso.
Non è mai facile cercare di raccontare un preciso momento storico, la difficoltà sta soprattutto nello scegliere lo stile narrativo giusto, non romanzare troppo le verità e al tempo stesso mantenere alta l’attenzione di chi legge. Vuillard lo fa sin dalla prima pagina, prendendo il lettore per mano e conferendogli una punto di vista speciale, quello di un osservatore nascosto che si trova in ogni luogo e ogni momento importante.
La storia e i maggiori eventi sono raccontati proprio come se fossero fotografie, scatti rubati da porre all’attenzione di chi guarda; delle fotografie descritte con l’ausilio di una sottile ironia, tipica di chi sa esattamente come andranno le cose. Hitler, Goebbels, Ribbentropp diventano quasi dei burattini nelle mani dell’autore, non più così stabili e degni di fiducia come potevano sembrare ai più in quei giorni.
Tuttavia il romanzo non è puro racconto sterile, Vuillard infatti mira anche a responsabilizzare il lettore: immettendo il suo racconto nella società odierna, sottolineando le contraddizioni e i fallimenti passati, vuole spingere il lettore a guardare con occhio critico ciò che gli accade gli intorno, il modo in cui le cose ci vengono raccontate e filtrate senza mai avere la certezza assoluta della loro validità. E alla fine si ha proprio l’impressione che il dito non sia più puntato contro le figure del passato, ma contro di noi.
Ho apprezzato tantissimo questo breve romanzo e le capacità stilistiche dell’autore, complice il fatto che da sempre la storia novecentesca, e in particolare il periodo delle due guerre, mi ha largamente incuriosita. Un libro che tuttavia può, anzi deve, essere letto da tutti.
“Non si cade mai due volte nello stesso abisso. Ma si cade sempre nello stesso modo, con un misto di ridicolo e do spavento.”