Rovereto, alla libreria Arcadia lo scrittore francese vincitore del Premio Goncourt. Nel suo "L'ordine del giorno" racconta la Anschluss e il cinismo delle classi dirigenti.
La letteratura con la sua forza è in grado di scardinare "verità" costruite ad hoc dalla politica mostrando, in uno spiazzante quanto ironico intrecciarsi di toni solenni e prosaici, ciò che la storia ufficiale solitamente tace: la quotidianità anche banale dei fatti. Lo dimostra Éric Vuillard, vincitore nel 2017 del Premio Goncourt, il riconoscimento più prestigioso della letteratura francese, con "L'ordine del giorno" (e/o, pp. 144, euro 14,00). Il romanzo, pubblicato in traduzione italiana la settimana scorsa, verrà presentato dal suo autore oggi, giovedì 4 ottobre, alle ore 19, alla Libreria Arcadia di Rovereto. «Avere un autore come Vuillard ha dell'incredibile. Lo scrittore sta facendo un tour italiano di poche date ed è richiestissimo dai media: l'averlo a Rovereto è un grande onore», dichiara Monica Dori, titolare dell'Arcadia.
Con la visione lucida dei fatti, sorretta da una scrittura quasi cinematografica, tagliente e ironica, Vuillard delinea le premesse che hanno portato alla Seconda Guerra Mondiale, spiegando la Anschluss, l'annessione dell'Austria alla Germania. La narrazione si apre il 20 febbraio 1933 con una cena che il processo di Norimberga definirà "complotto": Hitler e Goering avevano invitato ventiquattro dei più importanti industriali tedeschi, come Krupp, Opel e Siemens, con la richiesta di finanziare la campagna elettorale nazista. In cambio, anche grazie all'estromissione delle forze sindacali, avrebbero avuto assoluta libertà di movimento nelle loro imprese, con la garanzia che quelle del successivo 5 marzo sarebbero state le ultime elezioni del secolo.
Obbediente al principio che la narrativa è un "lavoro di editing sui dati raccolti", Vuillard attinge agli atti del processo di Norimberga o alle pagine delle Memorie di Winston Churchill da cui riprende conversazioni ufficiali o private per far parlare i suoi personaggi che sembrano scendere dal palcoscenico della storia, per acquistare dimensione umana. La tragedia viene così costellata di tanti episodi farseschi, di aneddoti che, di per sé insignificanti, hanno invece contribuito a determinare i fatti, la storia, come quando il cancelliere austriaco Schuschnigg per incontrare il 12 febbraio 1938 Hitler nel suo "Nido d'aquila" a Berghof, fa il viaggio in treno "in incognito", vestito da sciatore, proprio quando a Vienna si festeggiava il Carnevale.
Leggendo "L'ordine del giorno" si scopre, poi, che anche le operazioni militari che hanno portato all'Anschluss dell'Austria non sono state condotte, come si legge nei libri di storia, con la rapidità di un'impeccabile regia. L'immagine trionfalistica data dalla propaganda tedesca di un'armata moderna, rapida e potente, che avrebbe portato a un trionfo immediato, ha visto, invece, sul confine austriaco dei Panzer in panne, che hanno bloccato la strada a un Hitler infuriato, e stancato, per il ritardo, la folla degli austriaci festosi che, bandiere alla mano, erano accorsi per accogliere il Führer.
Su tutto, però, sono i morti che riconducono lo spettacolo in tragedia, fantasmi che tormentano le coscienze di chi, come il vecchio Gustav Krupp (lo stesso della foto scelta per la copertina del libro), crede di vedere i cadaveri degli uomini che gli venivano forniti dalle SS per le sue industrie.
Siamo riusciti a intervistare Vuillard grazie a Silvia Turato, traduttrice editoriale, che oggi all'Arcadia farà da interprete durante l'incontro.
In un libro come "L'ordine del giorno" qual è il confine tra verità e verosimiglianza?
«Per quanto riguarda la narrazione faccia riferimento a foto e documenti, il dialogo non sia inventato e la ricostruzione dei fatti venga ripresa da ciò che è effettivamente successo, dare vita a dei personaggi realmente esistiti è unn atto letterario che, rispetto alla storia, frappone una certa distanza. Bisogna però riqualificare il concetto di vero sul registro letterario dell'"immedesimazione empatica" così come il termine "verosimiglianza", perché la letteratura è una distanza che avvicina, che lavora sul passo dopo passo e, seguendoli da vicino, sottrae ai personaggi solennità per restituirne la quotidianità. In un'epoca come la nostra in cui è forte il senso di artificiosità della classe dirigente, l'attività letteraria stabilisce tale prossimità servendosi anche di ironia e di irriverenza, così da sottrarle quell'aura di solennità».
I personaggi che si muovono in questo suo libro sono consapevoli che il loro operato sarebbe stato sottoposto al giudizio della storia?
«In realtà lo sono poco. Alcuni di loro, quelli legati alle élite sociali, si sentono al di sopra della storia, con la quale intrattengono un rapporto disinvolto e frivolo, e sottovalutano l'avversario con atteggiamento classista. Durante le due guerre, infatti, i politici delle potenze europee, Francia e Inghilterra, hanno sottovalutato le reali intenzioni di Hitler. Anche nel mondo d'oggi le nostre classi dirigenti tendono a rivolgersi con atteggiamento paternalistico al popolo, senza considerarne le capacità critiche».
Potere industriale, finanziario e politico. Qual è l'anello forte di questa triade?
«Il potere effettivo è quello del denaro, che struttura la realtà, proprio come si vede nella "Comédie Humaine" di Balzac. Commercio, industria e banche rappresentano i pretendenti di un matrimonio di interesse che è la politica. Il potere politico ha, infatti, bisogno di essere sostenuto e accompagnato da quello economico perché altrimenti dovrebbe confrontarsi con se stesso, ma non lo fa perché cadrebbe».
Come può la letteratura aiutarci a capire determinati periodi storici?
«Guardiamo alla storia partendo dal presente e lo facciamo sempre in modo diverso. L'attenzione di chi osserva i fatti del passato cambia continuamente ed è relativa alla nostra posizione nel tempo e nello spazio. In un mondo come quello di oggi in cui i politici sono lontani dalla vita reale il mondo tra le due guerre può essere un esempio di come le classi dirigenti possano produrre disastri».
Qual è il filo rosso individuabile nei suoi romanzi?
«Innanzitutto trovare un nuovo accesso alla realtà, che non si offre mai da sola. Per "L'ordine del giorno" mi sono imbattuto in una rubrica con il necrologio di quattro ebrei morti suicidi all'indomani dell'Anschluss. L'annuncio si concludeva così: "Si ignorano le ragioni del loro gesto". In quel contesto non si giustifica una simile affermazione poiché nessuno poteva ignorarne la causa. È, quindi, questo accesso alla realtà che ho voluto indagare. Mi sono reso conto che quella frase così banale rende lampante ciò che voleva nascondere. Questo spiega l'altro filo rosso che unisce i miei libri: l'indagine sul linguaggio, quando diventa falso per puntare solo all'apparenza».