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I konbini sono l'anima nascosta del Giappone

Autore: Alessandra Castellazzi
Testata: Esquire Italia
Data: 19 settembre 2018
URL: https://www.esquire.com/it/lifestyle/viaggi/a23296724/konbini-giappone/

Solo un orecchio abituato si accorge della musica dei konbini, l’ingranaggio che li fa funzionare è così oliato da non fare rumore. Lo stesso vale per i konbini stessi. Il primo impatto con una città giapponese è fatto di grattacieli, insegne, folla – questi piccoli supermercati anonimi con le pareti bianche, gli scaffali ordinati, le luci al neon, passano in secondo piano. Sono presenze costanti e discrete, aperte 24 ore su 24, sette giorni su sette, ma in poco tempo anche un turista comincia a chiedersi, quasi inconsciamente, dov’è il konbini più vicino. Le catene principali sono Lawson, Family Mart, 7-Eleven; i loro negozi sono tanti, sono simili, sono comodi.

Hanno un assortimento quasi infinito di snack, diverse varianti di patatine (buone quelle agli edamame, meno quelle all’ananas), dolci decorati con gatti, panda e orsi, gelati e smoothies dai colori arcobaleno, una selezione di Coca Cola distribuite solo in Giappone: trasparenti, alla pesca, con aggiunta di fibre e persino in una variante alcolica al sapore di limone, a cui Pepsi risponde con bevande aromatizzate al baobab o all’anguria.

La varietà di prodotti è così ampia e il loro rilascio sul mercato così frequente da aver ispirato Konbini Watch, una rubrica culinaria curata dallo statunitense Patrick St. Michel, che recensisce tutte le novità in fatto di snack. Ci sono poi cibi più tradizionali come gli onigiri, triangoli di riso ripieni di pesce o carne avvolti nell’alga, gli yakitori, spiedini di pollo fritto, e i bento, vaschette di cibi precotti. C’è la macchina per il caffè, il microonde, il bollitore dell’acqua per preparare il ramen istantaneo. C’è la biancheria intima e ci sono le riviste.

Nei konbini in Giappone risuonano sempre mille rumori. Dal trillo all’ingresso che annuncia l’arrivo dei clienti alla voce cantilenante di una star della TV che pubblicizza nuovi prodotti e si diffonde nel negozio attraverso gli altoparlanti. Dal saluto dei commessi che accolgono i clienti gridando a perdifiato ai bip dello scanner alla cassa. Il tonfo dei prodotti sul fondo del cestino della spesa. Il fruscio dell’involucro di cellophane di dolcetti e focaccine. Il ticchettio dei tacchi sul pavimento. Una miriade di suoni che si fondono tra loro e si insinuano dentro di me senza sosta: è la musica del konbini.

Si apre così il romanzo di Murata Sayaka, La ragazza del convenience store, pubblicato di recente in Italia (edizioni e/o, traduzione di Gianluca Coci). A parlare è Keiko, trentenne commessa in un konbini. Modellata sulla vita dell’autrice, che per diciotto anni ha affiancato al lavoro di scrittrice quello di commessa, Keiko è una ragazza senza ambizione, considerata strana da tutti fin dall’infanzia. Grazie agli orari rigidi del minimarket e alle sue norme di comportamento ben definite, Keiko trova nel konbini una parvenza di normalità che la mette al riparo dalle domande pressanti della famiglia, degli amici, della società, che non si spiega l’esistenza di una donna non interessata alla carriera né alla famiglia.

Il romanzo di Murata Sayaka è chiuso nel mondo ristretto dei konbini ma si allarga a toccare aspetti della società giapponese emersi con forza negli ultimi anni: il declino nel numero di matrimoni e nel tasso di nascite, l’apparente disinteresse per il sesso delle nuove generazioni, il culto del lavoro, il fenomeno degli hikikomori, i giovani che si ritirano dalla vita sociale. Non è un collegamento casuale: onnipresenti, sempre aperti, i konbini assomigliano alla cellula fondante della vita quotidiana in Giappone.

I konbini non si limitano a prevenire e soddisfare i bisogni primari dei loro clienti. Offrono anche una serie di servizi aggiuntivi: qui si possono pagare le bollette dell’elettricità e del gas, ritirare e spedire i pacchi, prelevare, comprare i biglietti per musei e concerti, usare la stampante e il fax. Sono il centro nevralgico del quartiere, una rete estesa e intrecciata che si allarga in tutti gli angoli della città, in tutte le città, in tutto il Giappone. Piccoli ingranaggi asettici che contribuiscono al funzionamento del paese, “un luogo che si regge sulla normalità, un mondo dove tutto ciò che è anomalo e inconsueto deve essere rimosso”, scrive ancora Sayaka.

Ma chi c’è dietro il “mondo perfetto, immutabile, che continua a girare senza sosta” dei konbini? Soprattutto studenti stranieri. Cinesi, coreani, nepalesi, vietnamiti: negli ultimi anni il numero di lavoratori stranieri in Giappone è aumentato proprio grazie alle fila di studenti provenienti in particolare dal sudest asiatico, armati di un visto che permette loro di lavorare fino a 28 ore alla settimana mentre frequentano scuole di giapponese per imparare la lingua e provare ad accedere a un corso universitario.

Come riporta l’articolo di Mark Robinson apparso sul numero di Internazionale dedicato a Tokyo: “Nel 2017, le tre catene principali – 7-Eleven, Lawson e FamilyMart – hanno avuto quasi 45.000 dipendenti stranieri part-time, pari a circa il 6 per cento della loro forza lavoro, secondo Kyodo News. Per l’azienda più grande, la 7-Eleven, l’incremento è stato del 500 per cento rispetto a otto anni fa. In centri urbani come Tokyo, la proporzione dei lavoratori stranieri rispetto al totale raggiunge anche il 20 per cento. Lawson ha organizzato in Vietnam dei corsi di formazione per i giovani che hanno già in programma di trasferirsi in Giappone”.

Il paese si sta preparando in grande per le Olimpiadi di Tokyo 2020, con una serie di iniziative che coinvolgono diversi ambiti: dalla costruzione delle strutture olimpiche agli interventi per ridurre l’inquinamento, si è anche pensato di introdurre l’ora legale spostando le lancette avanti di due ore per far fronte al caldo estivo. Anche in questo caso i konbini possono essere un interessante vetrino di osservazione del paese. Il settore dei servizi sta attraversando una grande fase di potenziamento per accogliere gli spettatori che parteciperanno all’evento del 2020. Quanti nuovi lavoratori stranieri copriranno il turno di notte, quanti nuovi snack saranno ideati, quali nuovi servizi saranno offerti: come cambierà la musica nei prossimi due anni?