Io sono vecchio». Semplice come una sentenza, Tom parla così di se stesso. Ma è ben più vecchio di quanto noi possiamo immaginare, anche se dimostra una quarantina d’anni. Tom è «un dio che cammina sulla Terra», come gli dice l’anziano della Società che protegge (o controlla?) quelli come lui. Un dio o un dannato? Perché Tom ha oltre quattrocento anni.
Matt Haig, in “Come fermare il tempo” (Edizioni E/O, 18 euro) crea un’avventura che ha il respiro del “Gilgamesh” a fumetti di Robin Wood e Lucho Oliveira (pochi lo ricorderano, occorre avere l’età giusta), la malinconia del “soldato eterno” cantato da Roberto Vecchioni, l’afflato tragico dello Shakespeare (che Tom ha conosciuto, lavorando anche per lui) «che parla a tutti, a colto e al popolano, come vorrei fare io» precisa Matt.
Quando incontriamo Tom, sta portando a termine una “missione”. Sì perché chiunque scopra il segreto degli “Albatros”, questi uomini e donne dalla vita lunghissima a causa di una disfunzione genetica, deve morire. L’umanità si divide tra loro e le «effimere», ossia gli esseri umani normali. Dalla Francia sconvolta dalle lotte di religione all’Inghilterra della
caccia alle streghe che ucciderà sua madre, alle pestilenze, all’età dei grandi transatlantici e del jazz, Tom attraversa i secoli mosso dal desiderio di ritrovare sua figlia, che ha ereditato la sua stessa disfunzione genetica. Nel ricordo di un unico amore.
«L’importante è non innamorarsi» recita l’anziano. Ma forse questo ammonimento arriva tardi per Tom, che ora è tornato proprio nella Londra dove ha perso l’amore: lavora come insegnante di storia in una scuola. Perché raccontare la storia è forse l’unico modo di comprenderla, di sfogare l’eccesso di informazioni che stritola il cervello, quella memoria
lunghissima che ossessiona più dei mal di testa feroci di cui soffre. E quella scadenza: otto anni, perché ogni otto anni la vita degli «alba» deve ricominciare da capo, con nuove identità. Ma prima, bisogna portare a termine un incarico per la Società.
«Sono ossessionato dal tempo e questo libro è un mio modo di fare i conti con il mio passato. Nella narrativa è più facile mettere al microscopio sentimenti, preoccupazioni, ansie» ha detto Haig che è stato ospite al Festivaletteratura di Mantova nei giorni scorsi. Nel solco di Shakespeare.
Nato a Sheffield nel 1975, Haig è giornalista, collaboratore di molte testate britanniche. Ha sofferto di depressione attorno ai vent’anni e dice che «scrivere la mia terapia». Oltre a tre romanzi per ragazzi, nel 2006 ha pubblicato “Il club dei padri estinti”, un Amleto moderno dove un bambino undicenne deve vendicare il padre. «Shakespeare fa parte del mio background di vita e ha caratterizzato l’ambiente dove sono cresciuto. Ho cercato di dare vita nuovamente a Shakespeare per presentarlo per come era, per il suo spirito bohemien. Ha scritto per tutti, per la regina ma anche per le persone che non avevano nessun tipo di cultura. Pensava che l’arte dovesse essere accessibile a tutti».