Che Elena Ferrante ci abbia conquistati con la storia di Lila e Elena, con Napoli sullo sfondo, con quella ricerca così vera e profonda nelle cantine degli animi umani, è indubbio. Una volta chiusa l'ultima pagina del quarto volume, Storia della bambina perduta, si sente quell'abbandono, quell'ossimorica malinconia felice, come guardare per l'ultima volta il mare prima di tornare alla vita di tutti i giorni.
È arrivata in libreria una novità per tutti quelli che quella sensazione la sentono ancora lì: a metà stomaco, a metà cuore. S'intitola Elena Ferrante. Parole Chiave (Roma, edizioni e/o,2018), ed è scritto da Tiziana de Rogartis. È un libro di quelli che ti aiutano ad andare in profondità, a scavare dentro la scrittura – quella così agile e schietta della Ferrante – per attraversarne lo stile (con il primo capitolo: Una narrazione geniale e popolare) e per analizzarne i temi cardine (ad esempio: L'amicizia femminile, cap. 2 Napoli, la «città labirinto», cap. 4; Violenza immagini e sparizioni, cap. 6).
Si tratta di una ricerca che Tiziana de Rogartis conduce con l'attenzione di chi sa che le parole pesano, che il successo delle amiche geniali risiede nella capacità della Ferrante di reggere un'impalcatura narrativa attenta ai dettagli. È un equilibrio sempre sul punto di crollare, una storia che si disfa e si ricrea in continuazione con il maturare delle due donne protagoniste. Se dopo il quarto volume vi è rimasto uno spazio sullo scaffale, questo è il quinto libro da metterci. Quest'opera non vi racconta cosa viene dopo, ma ciò che avviene dentro e dietro la scrittura: de Rogartis ci parla di quel luogo speciale che si chiama invenzione, svelandoci la vicinanza che c'è tra immagini e parole che ci sembravano in apparenza lontane.
Eccone un piccolo assaggio:
Tutto, in Elena e Lila, è sotto il segno della simbiosi: la nascita a pochi giorni l'una dall'altra, i diminutivi dei nomi propri – bisillabi, intrecciati nelle allitterazioni (Lina oppure Lila, come solo l'amica la chiama, e Lenù)–, l'aspetto fisico e soprattutto i caratteri. Due temperamenti che la loro relazione struttura rigidamente, sin dai sei anni di età, come ipoaggressivo e iperaggressivo (Lila dichiara: «abbiamo fatto un patto da piccole, quella malvagia sono io»; scf 127) per poi esibirli – come in questa formula di Elena – in ritratti di apparente, spontanea complementarietà: «io bionda, lei bruna, io tranquilla, lei nervosa, io simpatica, lei perfida, noi due opposte e concordi» (sbp 144). In alcune rare sequenze della vicenda l'amicizia tra le due protagoniste è definita attraverso una polarità bilanciata, un'energia scissa che solo quando viene ricomposta arriva alla messa in forma del mondo: «io, io e Lila, noi due con quella capacità che insieme – solo insieme – avevamo di prendere la massa di colori, di rumori, di cose e persone, e raccontarcela e darle forza» (ag 134). La rappresentazione più frequente è invece quella di una complementarietà asimmetrica, [...] in base alla dinamica del pieno e del vuoto:
"io cieca, lei un falco; io col la pupilla opaca, lei che da sempre stringeva gli occhi saettando sguardi che vedevano di più; io attaccata al suo braccio, tra le ombre, lei che mi guardava con uno sguardo rigoroso"
(Simbiosi e alterità, cap. 2).