Rossi come il sangue sono i tramonti in Sudafrica. Ma è la terra a colorarsi di sangue nel romanzo della scrittrice sudafricana Karin Brynard, “Terra di sangue”, ambientato nella provincia del Capo settentrionale, ai bordi del deserto del Kalahari. Una donna e una bambina vengono trovate morte nella fattoria di Huilwater. Una morte atroce, un coltello ha reciso ad entrambe la gola, quasi staccando la testa dal corpo. Lei, Freddie, era la proprietaria della fattoria, dopo la morte del padre. La bambina era una dei tanti bambini che Freddie aveva iniziato a prendere in affidamento- casi disperati di cui si sentiva oscuramente in qualche modo responsabile. E aveva intenzione di adottare la piccola Klara. Del caso si occuperà l’ispettore Beeslaar, arrivato da poco da Johannesburg, ‘in punizione’ (si dice)- un uomo dal fisico possente che spesso non sa misurare i termini, un bianco che sarà guardato con sospetto dai colleghi neri pronti ad accusarlo di razzismo.
In realtà Freddie e la bambina non sono i primi delitti avvenuti nelle fattorie ai margini del veld. Finora, però, sono stati uccisi allevatori di bestiame durante assalti per furto. Ci sono, poi, dei dettagli strani e inquietanti. Sia Freddie sia Klara sono state drogate prima di essere uccise, come se fosse importante che vedessero quello che stava accadendo senza poter reagire. E poi c’è un quadro di Freddie che rappresenta la scena proprio come è apparsa agli occhi dell’uomo che abita nella fattoria vicina e che ha scoperto i cadaveri. Come faceva Freddie ad aver previsto quello che sarebbe successo? I sospetti si accumulano su Dam, l’uomo che aiutava Freddie nella gestione dei lavori della fattoria, ed è subito chiaro che il motivo principale per cui gli si vorrebbe attribuire il delitto è che Dam è un boscimano- non gli si perdona l’essere diventato ricco facendo il falconiere a Dubai ed essere stato l’amante di una donna bianca. Forse? Probabilmente? Perché mai, altrimenti, nel testamento Freddie gli avrebbe lasciato la fattoria? Perché ucciderla, però, allora?
C’è un clima incandescente in Sudafrica. E non è solo quello meteorologico dell’aria infuocata. E’ che dopo la fine dell’apartheid le tensioni sono aumentate. C’è paura da parte degli afrikaans che non vogliono ricordare che i loro antenati boeri hanno strappato ai San (o boscimani) o ai Griqua le terre su cui ora sorgono le loro fattorie. Non intendono sentir parlare di rivendicazioni e di restituzione. E’ per questo che Freddie si era fatta tanti nemici. Perché era andata a rivangare, a cercare le mappe che con chiarezza indicavano confini e proprietari. Per questo si sono costituiti dei gruppi di controllo, quasi una milizia intesa a difendere le fattorie da possibili assalti. Si arriva a parlare di genocidio, si gonfiano le cifre dei bianchi uccisi.
La trama del romanzo prosegue incalzante, tenendoci nell’incertezza su chi sia il colpevole. L’ambigua amica di Freddie, quella che voleva organizzare una mostra dei suoi quadri, viene lasciata ferita sul ciglio di una strada, il fattore Dam scompare e, quando lo ritrovano, è quasi in fin di vita, qualcuno ruba le mappe del territorio conservate da Freddie, scoppia un incendio nella fattoria vicino a Huilwater, la vita stessa della sorella di Freddie, accorsa da Johannesburg, è in pericolo.
I thriller ambientati in terre lontane hanno sempre qualcosa di speciale, anche se non tutto nella trama ci convince. Speciale la descrizione dei paesaggi, speciali gli squarci di storia che ci rivelano, speciali anche i personaggi che avvertiamo come diversi perché ognuno di noi è il prodotto della Storia che ha foggiato un paese. Per questo “Terra di sangue” è una lettura diversa e intrigante.