Genova, inizio degli anni ‘30. Alessandro Rimon (un cognome che in ebraico significa ‘melograno’, il frutto che con i suoi 613 semi purpurei simboleggia le 613 perle di saggezza contenute nella Torah) è un bambino prodigio. Ha imparato a leggere da solo a neppure cinque anni, inizia la scuola quasi due anni prima dei suoi coetanei (grazie ad una legge recentissima approvata per permettere a Romano Mussolini, il figlio minore del Duce, di frequentare la prima elementare in anticipo)- sua madre scoppia di orgoglio. Lui, però, Alessandro, si troverà sempre a disagio, schernito dai compagni di classe, senza amici. Finché, terminato il ciclo delle elementari, incontra le prime difficoltà e rientra nella normalità, addirittura ha bisogno di lezioni private, con delusione della madre.
Inizia così “Questa sera è già domani” di Lia Levi, un bel romanzo di formazione che è anche storia di una famiglia ebraica in Italia negli anni cruciali delle leggi razziali e della guerra. Il punto di vista è quello di Alessandro, dapprima bambino, poi adolescente e giovanissimo adulto che cerca di unirsi ai partigiani dopo l’armistizio. Un bambino che neppure sa che cosa voglia dire essere ebreo- né la famiglia del padre (un intagliatore di diamanti di origine olandese ma con passaporto inglese), né quella del madre (il nonno Levi si gloriava di essere stato un ferroviere al servizio dello Stato italiano) erano praticanti. Solo una catenina d’oro con una stella di Davide che gli aveva lasciato la nonna lo collegava alle sue origini. E, dopo che era sembrato un capriccio infantile, una follia, portare con sé nella fuga quella catenina che avrebbe potuto smascherarli, contro ogni ragionevole previsione era stato proprio quel simbolo di appartenenza a salvarli.
Appartenenza: forse il significato di tutte le traversie dei Rimon e degli altri ebrei italiani di loro conoscenza era contenuto proprio in questa parola. Lo aveva sottolineato il rabbino- nelle loro sofferenze, nel dover sottostare alle odiose leggi razziali, gli ebrei avevano ritrovato la loro identità.
Era stata, dapprima, una ben magra consolazione per un ragazzo che aveva dovuto lasciare la scuola, che aveva poi anche seguito la famiglia al confino quando il passaporto inglese del padre aveva aggiunto altre difficoltà all’essere ebrei. Eppure, quanto più lieve era sembrata la sorte dei Rimon quando Alessandro aveva sollecitato e ascoltato i racconti della sorella maggiore del ragazzino olandese che la sua famiglia aveva accolto come ospite. Erano storie di violenza e di soprusi che contenevano una minaccia oscura a cui nessuno voleva credere. Perché questo era quello che tutti gli ebrei italiani si dicevano- no, in Italia non sarebbe mai successo niente di grave, era una bufera che sarebbe passata, in Italia c’era il Vaticano e poi gli italiani erano buoni. Ma non si erano detti le stesse cose anche gli ebrei tedeschi che pensavano di essere perfettamente assimilati?
In uno stile piano, senza sussulti, Lia Levi, ispirandosi alle vere traversie di suo marito, ci racconta le vicende di una famiglia che ci ricorda i Finzi Contini del romanzo di Bassani, che non si erano mai ‘pensati’ ebrei, e perciò diversi, finché le leggi che si erano accavallate l’una sull’altra limitando sempre più la loro libertà non li avevano definiti tali. Fino all’ultima fuga, all’ultima beffa, all’ultima speranza. E’ proprio la perfetta aderenza di stile quotidiano ad una vita quotidiana che mette in risalto quello che è fuori dall’ordinario in ciò che succede. Si crea una sorta di dissonanza che ci inquieta, ci insospettisce, ci fa temere il peggio. Che puntualmente arriverà.
“Questa sera è già domani”- bel titolo che ci fa pensare al benvenuto allo Shabbat nella sera del venerdì e, insieme e su scala più ampia, ad un tempo che anticipa quello che seguirà- è uno dei libri della cinquina selezionati per il premio Strega 2018.