La transazione democratica del Paese nordafricano procede tra molti ostacoli. Le politiche «imperialiste» del Fondo monetario internazionale, il conservatorismo religioso, la fuga dei cervelli. Parla lo scrittore e traduttore Shukri al-Mabkhout
«La storia recente è più complessa dei discorsi politici». Le parole dello scrittore, editorialista e traduttore Shukri al-Mabkhout (vincitore dell'International prize for arabic fiction con L'italiano pubblicato in Italia da Edizioni e/o) riguardano da un lato il corso attuale della Tunisia, stretta fra istanze di rinnovamento e certo conservatorismo di fondo,e dall'altro gli strali ad essa indirizzati dal leghista Matteo Salvini durante i suoi primi giorni da ministro dell'Interno.
Shukri al-Mabkhout, alla fine del 2010 in Tunisia, cominciò la Primavera araba. Cosa resta oggi degli ideali che la ispirarono?
La Tunisia si trova ancora oggi in una fase di transizione democratica, che dovrebbe portare a un sistema politico adeguato e ad instaurare nuove istituzioni. Diversi dubbi persistono ma vi sono grandi speranze. La costruzione democratica è in corso, malgrado le reticenze dei partiti politici al potere. La vecchia guardia non ha mollato e tenta di riorganizzarsi per impedire un cambiamento autentico. Oltre a ciò, il vero problema della Tunisia risiede nella crisi economica. Parliamo di un Paese che ha conosciuto anni complessi, di contestazioni e rivendicazioni sociali.
Di fatto, non è capace di rilanciare da solo la propria fragile economia. Sfortunatamente essa si trova, dopo la Rivoluzione, tra il martello del Fondo monetario internazionale (Fmi) e l'incudine della diminuzione di investitori stranieri che adducono come pretesto l'instabilità politica, la corruzione e il terrorismo. D'altronde, la stessa politica del Fmi l'abbiamo vista applicata in Grecia e a Cipro. Non bisogna dimenticare che questi "finanziamenti" sono uno strumento dell'imperialismo duro e puro.
Ne L'italiano, ambientato fra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, la società tunisina viene percepita come conservatrice e intollerante delle libertà individuali. Oggi i movimenti laici criticano il rispetto forzato del Ramadan, la chiusura dei negozi e i maltrattamenti riservati a quanti non rispettano il digiuno. Qualcosa sta cambiando?
È un problema culturale molto delicato, ma la situazione sembra virare verso il buon senso. Da circa un mese, una commissione ad hoc, creata mediante decreto presidenziale, ha terminato il proprio lavoro sulle leggi che ostacolano la libertà individuali e l'uguaglianza. Ha pubblicato un rapporto che personalmente trovo rivoluzionario, tenendo conto del contesto arabo-musulmano. Tale rapporto sarà poi tradotto in disegno di legge, al fine di inscrivere i valori universali all'interno della legislazione tunisina. Sono davvero ottimista in seguito a questa iniziativa, malgrado il persistente conservatorismo e le difficoltà insite nel cambiamento di mentalità. La libertà è un processo, non è mai una conquista definitiva.
Una bassa percentuale di partecipazione ha caratterizzato le recenti elezioni tunisine: segno di disaffezione o rassegnazione della società civile verso le élite politiche?
I tunisini sono disillusi rispetto ai partiti. Tutta la classe politica è carente, dopo gli anni della dittatura, di competenze e di una cultura politica democratica. E incapace di formulare un discorso coerente, realistico e coraggioso che infonda speranze alla gente.
Dai dati del Viminale, i tunisini rappresentano il primo gruppo per numero di migranti sbarcati quest'anno in Italia. Come commenta le parole del ministro dell'Interno italiano Matteo Salvini secondo il quale «la Tunisia è una Paese libero e democratico, ma spesso e volentieri esporta galeotti»?
È un discorso populista, diffuso purtroppo in tutta Europa e non solo in Italia. È desolante e pericoloso. Ma ai governi tunisini non appartiene questa tendenza a "sbarazzarsi" di galeotti e delinquenti per mezzo dell'immigrazione. Al contrario, la Tunisia ha perduto circa 100mila laureati dopo la rivoluzione, espatriati in Europa: un'inquietante fuga di cervelli. A causa dell'instabilità, delle paure generate dalla transizione, e della voglia di cercare un avvenire migliore. Comprendo le preoccupazioni dei politici italiani ed europei, ma bisogna abbracciare una visione più ampia da punto di vista umano, economico e storico. L'Europa di oggi è, per dei giovani disoccupati senza prospettive, "un paradiso" ed essi sono pronti a morire per questa illusione. L'Italia è il Paese più vicino alla Tunisia nel bacino del Mediterraneo. Perché dimenticare la storia degli italiani stessi? Avevano le stesse aspettative in rapporto agli Usa e ai vicini Paesi europei. Oltretutto, numerosi italiani sono emigrati in Tunisia, ad esempio, per fuggire dalla carestia o dalla persecuzione in Sicilia. Hanno cercato cibo e pace e hanno trovato le porte della Tunisia aperte. Con centomila italiani in Tunisia, negli anni Venti, questi immigrati sono diventati una componente fondamentale dell'economia, della società e della cultura tunisina. Personalmente, mi ricordo dei nostri vicini italiani, nel nostro quartiere alla Medina (l'antica città) e continuo a utilizzare ancora oggi nel mio dialetto parole italiane.