Trieste è una città letteraria. Si pensi a Svevo o a Saba. Ma anche a Quarantotti Gambini, autore di uno dei romanzi di formazione più belli della letteratura italiana: L’onda dell’incrociatore. Città di frontiera e di contaminazioni, Trieste ha attratto autori come Joyce. E, più di recente, il tedesco Veit Heinichen. Ostracismo (ed. e/o, trad. Monica Pesetti) è un romanzo della serie che ha per protagonista il commissario Proteo Laurenti, salentino di nascita ma triestino di matrimonio, e la sua famiglia, avvolgente e composita come Trieste. La storia prende l’avvio dal ritorno di Aristèides Albanese, dopo 17 anni di galera per un delitto per legittima difesa, ma che uno stuolo di testimoni subornati ha convertito in omicidio volontario. Il subornatore è un politico che controlla da decenni la gestione degli affari pubblici e privati della città, quale che sia il colore dell’amministrazione del momento. Aristèides rientra a Trieste con l’intento di vendicarsi dei suoi accusatori e di riprendere il vecchio mestiere di cuoco. La vendetta sarà, appunto, di tipo gastronomico. Tutto intorno si dipana un intrigo che ha origine nella transizione che inviluppa la gestione del porto e gli affari ad essa legati, cui non sembra estraneo un omicidio eccellente. E che affonda in parte in un vecchio delitto irrisolto. Ostracismo è fatto di un tessuto i cui fili non convergono tutti in una tramatura compiuta. Ma come dichiara Heinichen in un’intervista a Giancarlo De Cataldo, questi sono tempi in cui non è semplice approdare a una qualunque conclusione. Pure Laurenti se ne farà una ragione.