Dopo diciassette anni di prigione Aristèides Albanese è tornato a Trieste. La sua presenza non può passare inosservata: alto, capelli raccolti in una coda di cavallo lunga fino al fondo schiena, una barba folta che gli copre il petto, un cucchiaio e un paio di bacchette che fuoriescono dal taschino della giacca. Perché Aristèides è un cuoco (bravissimo e pieno di inventiva, lo vedremo all’opera), aveva un ristorante prima dell’arresto, ha gestito la mensa del carcere ed ora cucina in quella di un centro di accoglienza per i profughi. Ma ha altri programmi in mente: aprire un nuovo ristorante (vicino al Tribunale, si chiamerà ‘Avviso di garanzia’, un nome che suona come una sfida) e vendicarsi di tutti coloro che avevano testimoniato contro di lui al processo in cui era stato condannato per aver ucciso una guardia giurata.
“Ostracismo”, il nuovo romanzo di Veit Heinichen, lo scrittore tedesco che da anni risiede a Trieste e ci delizia con i suoi libri che hanno per protagonista l’ispettore Proteo Laurenti, è un poliziesco insolito e graffiante. Il fatto stesso che il personaggio principale sia un ex detenuto è insolito, prima di tutto. Che diventi ‘l’eroe’ di cui seguiamo le gesta, facendo il tifo per lui e provando, invece, disprezzo per le persone che, per il ruolo che hanno nella società, dovremmo ammirare- anche questo è insolito. Veit Heinichen si serve di Aristèides e del suo passato per strappare la maschera alla città dalla ‘pensosa grazia’ di Saba, per scoprire i traffici loschi resi facili dalla posizione di frontiera e dal porto con acque profonde che permettono l’attracco anche a grosse navi container. Sono dodici le persone che hanno tradito Aristèides diciassette anni fa, e lui ne spunta i nomi uno dopo l’altro a mano a mano che compie la sua vendetta- il primo è un uomo che ormai non ha neppure più lo status che aveva una volta, quando declamava i versi di D’Annunzio propugnando un disgustoso neo-fascismo di stampo razzista. E’ diventato un alcolizzato che si getta famelico sul pranzo a sorpresa che Aristèides gli ha preparato con i pochi ingredienti che ha trovato, aggiungendo una buona dose di olio di ricino e di semi di ricina grattugiati, e svignandosela poi in incognito. E’ una perfetta e suprema ironia, una metafora coprofila, l’aver escogitato di far espiare i dodici testimoni spergiuri con la famigerata purga fascista. C’è anche il procuratore Scoglio nella lista. E pure Proteo Laurenti, anche se con un minor grado di colpevolezza. Intanto il lettore segue tre filoni narrativi, di cui quello poliziesco prende in considerazione i casi della armatrice tedesca che muore precipitando da una finestra (è stata spinta: chi è il mandante e chi l’esecutore del delitto? chi aveva interesse a bloccare gli accordi portuali?) e quello del Poeta morto avvelenato. Gli altri due filoni sono le due facce dell’arte del ben cucinare- le nostre papille gustative sono sollecitate dalla descrizione dei piatti preparati da Aristèides, sia quando cucina di nascosto, improvvisando e condendo con olio di ricino (chi saprebbe resistere?), sia quando prepara con amore per la vecchia prostituta che si è presa cura di lui dopo l’assassinio di sua madre (caso irrisolto che rispunta fuori ed è collegato con alcuni nomi dei ‘dodici’) o quando prepara il pranzo per i profughi o, finalmente, per la serata di inaugurazione del nuovo ristorante. A ribadire il tema culinario, una sorta di ‘punto e contrappunto’, c’è il figlio di Proteo che si esibisce preparando per i famigliari quando si stanca dei clienti che non lo soddisfano.
Prendendoci per la gola, tra un sorso di vino e un piatto di carciofi (meglio quelli senza ricina), Veit Heinichen ci fa conoscere non solo una Trieste dal tessuto sociale molto diverso da quello, idealizzato, di un tempo, ma anche l’ipocrisia, il falso perbenismo, il dilagante razzismo e la pericolosa deriva verso destra della città che una volta veniva portata ad esempio come un ‘melting pot’ italiano.