Fabio Bartolomei è uno dei miei scrittori italiani di riferimento, forse uno dei nomi da cui sono partita quando ho deciso di riscoprire la narrativa patria contemporanea. Ho letto tutto ciò che ha scritto, stranamente in ordine cronologico. Ho adorato Giulia 1300 e altri miracoli, La banda degli invisibili, ho pianto come una disperata con We are family – il mio preferito finora – e ho provato un po' di delusione con Lezioni in paradiso, ben al di sotto del livello cui il buon Fabio mi ha abituata.
L'ho passato al parentado come un virus efficace, è diventato presto uno degli scrittori preferiti di mia madre, graditissimo da mio padre e da mia sorella. Credo di aver regalato La banda degli invisibili pure a mia zia, e non è detto che Nonno1 non sia riuscito a leggerlo, prima di.
Ad ogni modo, voglio chiacchierare di La grazia del demolitore, pubblicato da e/o nel 2016, un bel tomo che mi ha tenuto compagnia per troppo poco tempo – Bartolomei lo leggi in un attimo, scorre semplice e cristallino, con la sua scrittura schietta, onesta.
Il protagonista è Davide, un trenta-qualcosa-enne figlio di papà, un eterno adolescente che si barcamena tra locali esclusivissimissimi, un paio di amici – di cui uno, Massimiliano, sotto con le droghe mica da ridere, anche se poi se ne ride a pacchi – strettissimi e i compiti elargitigli dal padre, costruttore di successo che sentirebbe la coscienza scricchiolare, se non avesse deciso decenni prima di sedarla. Davide ha anche una madre con cui ha un rapporto bellissimo, con cui balla di nascosto dal padre, e forse è grazie a lei se non si è del tutto perso.
Il romanzo inizia col compleanno di Glauco, padre di Davide. Ha affidato al figlio un progetto importante, la demolizione e la ricostruzione di alcune palazzine in un quartiere povero, da invadere con appartamenti di lusso a prezzi altissimi. Davide è entusiasta, non vede l'ora di dimostrare al padre quello che vale. Si trasferisce in uno degli appartamenti della palazzina, quello che gli ha lasciato la nonna in eredità.
Ed è lì che incontra Ursula, l'ultima inquilina del palazzo. È una ragazza cieca, sui trent'anni, con un cane problematico. Per puro errore Davide rimane intrappolato nel suo appartamento, e si trova invischiato in una di quelle situazioni imbarazzanti che più vanno avanti e più peggiorano, e diventa sempre più difficile auto-denunciarsi. Dunque resta lì e osserva Ursula, la segue. Poco a poco inizia a ballare con lei, all'insaputa della ragazza.
Capita che Davide si innamori di Ursula, e che comprenda quello che la demolizione della palazzina farebbe alla sua vita fatta di pochi punti fermi, alla sua routine accuratamente costruita in modo che sia in grado di percorrerla senza chiedere l'aiuto di nessuno. E allora cambia idea, e allora...
La grazia del demolitore si legge così velocemente che pare duecento pagine più corto di quello che è. Ti affezioni a Davide, ti diverti con Massimiliano e con Geronimo, il capo-cantiere di Davide. Si ride, si ride un sacco con Bartolomei, non si risparmia mai uno scambio di battute dai risvolti stupidi, non c'è scena troppo rocambolesca.
Adesso però arriva il momento delle critiche – sono critiche? Onestamente non saprei, più appunti che critiche, che nemmeno io so bene come la penso in materia.
La grazia del demolitore, secondo me, scivola un po' troppo sui facili stereotipi. Nel senso che non c'è una via di mezzo tra la vita scintillante e glitterata di Davide-e-Ricchi e i tizi del cantiere, ognuno sintomo di disagio occupazionale. Mondi troppo distanti, mondi che neanche si sfiorano, - davvero Davide ha vissuto così poco da non concepire qualcosa di diverso dalla propria esperienza? C'è poi come una patina di ottimismo che un po' mi stona; Massimiliano mi preoccupa non poco, lo vedo in overdose nel giro di venti pagine, ci sono personaggi secondari troppo entusiasti all'idea di aiutare Davide, nonostante questo possa costare loro caro, un eccesso di fortuna e speranza.
C'è da dire, come dicevo poc'anzi, che non so se la mia sia davvero una critica. C'è questa cosa nei libri di Bartolomei, come se vivesse in un mondo sporco che però riesce a vedere più pulito. Una salvezza potenziale che io non riesco a intercettare con lo sguardo, un approccio allegro e propositivo che al momento mi pare aspiri al surrealismo.
Va da sé, si sarà capito, a me La grazia del demolitore è piaciuto moltissimo.