Già vincitore del Premio Strega Giovani, Questa sera è già domani di Lia Levi (Edizioni E/O) conquista la rosa dei cinque finalisti al Premio Strega. Con grande tensione narrativa, la scrittrice racconta i tragici momenti della nostra storia recente, delle Leggi Razziali e i drammi di una famiglia ebrea. Ed è un atto importante – sia ricordare sia raccontare – perché, come afferma l’autrice, la letteratura non dà risposte, ma pone domande.
In attesa della serata finale del Premio Strega, Lia Levi ci ha svelato qualche retroscena che l’ha portata alla stesura del romanzo.
In esergo a Questa sera è già domani ha posto una citazione di Emily Dickinson secondo la quale entrando nel regno della memoria ci si confronta con l’identità e la polvere che «tu non puoi sopraffarla – invece lei / può ammutolire te –». Dopo questo suo viaggio nella memoria, lei come si è sentita? Quali sono le parole su cui ha fatto e può ancora fare affidamento?
Confesso che per un periodo ho sperimentato una specie di blocco letterario. Avevo il cosa, ma non riuscivo a trovare il come, che è poi l’essenza stessa della letteratura. Ho pensato dunque alla chiave del racconto, alla linea portante, cercando di cogliere le sensazioni che nascevano. Mi sono sbloccata così anche dal punto di vista emotivo. Ne è conseguito un periodo felice, il periodo della creazione. Perché creare è gioia.
Un discorso a parte va dedicato al senso della storia: dare un senso alla vita è sciogliere i suoi misteri, i misteri in cui si è cresciuti.
Il libro si apre con la descrizione di scene famigliari normali, tranquille, come se ne vedrebbero anche oggi. Poi arrivarono le leggi razziali. Lei, come il protagonista di Questa sera è già domani, all’epoca era una bambina, aveva sette anni. Che ricordi conserva di quel momento e delle sue conseguenze?
Le esperienze sono strettamente legate ai fattori personali: tutto dipende dal momento in cui esse ti colgono. Ero in prima elementare quando successe tutto. Non sapevo nulla del mondo, quindi non ho mai vissuto un prima e un dopo. Per me, quella era la “normalità”, credevo fosse così per tutti. Che cosa ho vissuto? Ho vissuto una grande atmosfera di ansia e di cospirazione. Si doveva sempre tacere qualcosa. E, per un periodo, ho pensato che quel qualcosa da tacere fosse il quaderno di francese che quindi nascondevo colma di vergogna. Non si diceva nulla ai bambini, per tenerli tranquilli. Non ha funzionato. Meglio dirle le cose, scegliendo il modo opportuno.
Sono diventata più consapevole e informata dopo, più tardi, leggendo i libri. In questo modo ho riempito i vuoti, comprendendo anche cosa fosse quel qualcosa da nascondere.
Oggi parliamo spesso della necessità di ricordare. Ma cosa significa ricordare per lei che quel periodo l’ha vissuto in prima persona? E che posto occupa in tutto questo il dolore privato?
Esiste una differenza essenziale tra il ricordo e la memoria. Ovvero, la seconda è l’elaborazione di un ricordo e richiede un lavoro dentro di sé, più precisamente un’elaborazione di un fatto che da esterno diventa interno coinvolgendo il giudizio. Credo che in virtù del mio essere una scrittrice questo processo si sia innestato dentro di me con una certa naturalezza.
Nello stesso anno in cui in Italia venivano promulgate le leggi razziali a Evian-les-Bains si tenne la conferenza sui rifugiati ebrei a cui presero parte 32 Paesi, nessuno dei quali si dichiarò disposto a nuovi ingressi di ebrei nei propri confini. Perché siamo così refrattari a imparare dalla storia? Perché continuiamo a comportarci sempre allo stesso modo?
Perché si tratta di essere umani e questi sono contraddistinti dall’egoismo. Occorre abbracciare una visione più profonda per cogliere quanto sia piccolo il proprio mondo. E, comunque anche in tal caso, non dimentichiamoci che gli egoismi e la miopia fanno parte dell’essere umano.
Viviamo un momento problematico in Italia, tra respingimenti di migranti, chiusura dei porti e censimento dei Rom, facendo prevalere l’etnia di origine sull’attuale cittadinanza italiana. Esistono le premesse per un nuovo 1938? Su quali argini possiamo oggi fare assegnamento?
Un nuovo 1938 non potrà più ritornare, non in quei termini, per lo meno. Detto altrimenti, la storia presenta gli stessi quesiti ma non allo stesso modo. Essere un razzista oggi non è più motivo di vanto, mentre in passato lo era. Da questo punto di vista, c’è stata un’evoluzione, qualcosa è cambiato, sebbene si tratti di un piccolo progresso. In questo senso, sensibilizzare i giovani nelle scuole sui problemi del razzismo è un atto importantissimo e, per fortuna, presente.
Come si sta preparando per la serata finale del Premio Strega?
Ancor prima della serata finale, ci sono le presentazioni nelle diverse città, e questa è una splendida esperienza specie per il grande spirito di gruppo e di condivisione.
Parte di questa bellissima esperienza è stata quella di vincere il Premio Giovani, cosa che mi ha fatto un immenso piacere.