È un premio Strega sorprendente quello di quest’anno. Le nuove regole avevano comportato un numero record di candidature, ben quaranta, e già alla scrematura della dozzina non sono mancate le sorprese, con le esclusioni eccellenti di Dori Ghezzi, di Gianfranco Calligarich, di Loredana Lipperini e del romanzo postumo di Severino Cesari.
Martedì sera a casa Bellonci è stata proclamata la cinquina comprendente (rigorosamente in ordine di classifica) Helena Janeczek (La ragazza con la Leica, Guanda), Marco Balzano (Resto qui, Einaudi), Sandra Petrignani (La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg, Neri Pozza), Lia Levi (Questa sera è già domani, Edizioni E/O) e Carlo D’Amicis (Il gioco, Mondadori).
La constatazione più immediata riguarda la presenza di tre donne all’interno della cerchia finalista. Si tratta di una percentuale “interessante” almeno per due motivi. Il primo è che un colpo d’occhio al Palmares svela che l’ultima vincitrice fu Melania Mazzucco nel 2003 con Vita. Da allora è stata una sfilza di scrittori, intesi come maschi: Riccarelli, Maggiani, Veronesi, Ammaniti, Giordano, Scarpa, Pennacchi, Nesi, Piperno, Siti, Piccolo, Lagioia, Albinati, Cognetti. Sembra la formazione di una squadra di calcio (dove si sa, quest’anno, le donne vanno meglio degli uomini). Il secondo motivo di interesse è di carattere sociologico: può un movimento come il MeToo aver influenzato la scelta dei quasi seicento votanti?
NADIA TERRANOVA, che candidava Anni luce di Andrea Pomella, sostiene che i libri di Janeczek, Petrignani e Levi siano “tre testi di ottima qualità. E ben venga se questo aiuterà in futuro, anche nel futuro più prossimo, in ogni premio letterario, a valutare con attenzione i libri scritti da donne”.
Nicola Lagioia, vincitore nel 2015 con La ferocia e che ha candidato quest’anno Il gioco di D’Amicis ancora in lizza, giudica “i romanzi sempre in base all’opera, mai al sesso di chi li scrive, alle sue opinioni politiche, religiose e così via. Per me nella letteratura d’invenzione e nell’arte in generale conta solo l’opera”.
Dacia Maraini, vincitrice nel 1999 con Buio e sponsor di Questa sera è già domani di Lia Levi, che si è già accaparrata lo Strega giovani, non crede che “il MeToo abbia influenzato la votazione. I libri entrati in cinquina sono belli. Sono mesi che la gente li legge e passa parola. Questo non vuol dire che altri bei libri non potessero essere premiati. Le giurie, soprattutto quando sono così numerose, sono imprevedibili. Comunque di solito la gran parte dei giudizi coincide e i migliori saltano fuori”.
A volo d’uccello i tre romanzi finalisti scritti da Janeczek, Petrignani e Levi hanno in effetti un comun denominatore: non il gender di chi li ha scritti ovviamente, e neanche la femminilità come oggetto letterario, ma il passato. Ne La ragazza con la Leica Janeczek ricostruisce la figura della fotografa di guerra, Gerda Taro, una ragazza ribelle, compagna di Robert Capa durante la guerra in Spagna. Gerda muore sul campo di battaglia e il suo corteo funebre nell’agosto del 1937 è tutto uno sventolare di bandiere rosse per le strade di Parigi.
Si tratta di un’eroina antifascista, con una grande gioia di vivere, che ha fatto coppia con una figura ingombrante, senza però mai restare nell’ombra.
Altrettanto gigantesca, anzi piratesca è la figura di Natalia Ginzburg, nata Levi e sposa prima di Leone dal quale ebbe tre figli e poi di Gabriele Baldini. Ne La corsara Petrignani racconta la temperie culturale del Novecento fra Palermo, Torino e Roma, dove Natalia, e non c’era bisogno di aggiungere il cognome per gli intellettuali dell’epoca, abitò a Campo Marzio, di fronte a Italo Calvino. Frequentò Giulio Einaudi, Cesare Pavese, Elsa Morante, Alberto Moravia, Adriano Olivetti... La lista potrebbe continuare a lungo, perché la sua vita costituì una sorta di arcipelago intellettuale: una donna fragile, con uomini difficili, ma che in un universo maschile riuscì a condividere un potere editoriale e culturale in Italia, completamente appannaggio degli uomini. Infine anche Questa sera è già domani di Lia Levi è un romanzo dal lessico famigliare, ambientato a Genova negli anni delle leggi razziali. Un nucleo composto da padre, madre e figlio, più nonno, zii e cugini, alla ricerca di un paese che possa accoglierli. Era il 1938 e l’Europa si poneva il problema degli ebrei in fuga dal nazismo, attraverso una retorica dell’accoglienza e pochi fatti concreti.
Lo Strega quest’anno non parla al femminile, il romanzo non è morto, soltanto si guarda alle spalle, perché prova a leggere il presente con queste diottrie.
DALLA SFERA di cristallo delle distopie siamo passati allo specchietto retrovisore per provare a capire il presente, che resta come sempre la mappa più difficile da decifrare, la foto più complessa da scattare, a meno di non essere Gerda Taro.