Immaginate di essere state a una festa e di avere ancora il ritmo delle risate che vi spinge i passi. La borsa saltella allegra sul fianco, piena dei libri presi in prestito dalla biblioteca, la notte è fitta, tuttavia una sfilza di lampioni illumina il cammino che manca fino alla vostra casa, e il parco che vi costeggia è silenzioso e tranquillo. Il ricordo delle battute scherzose vi riempie la mente ed è inebriante. È l'ennesima festa, è l'ennesima sera uguale a tante altre prima. All'improvviso vi buttano a terra e vi impediscono di gridare. Vi minacciano di morte se non obbedite, e voi obbedite. Vi trascinano dentro al parco, che ora vi rendete conto essere tranquillo perché mortalmente deserto. Vi stuprano. Vi umiliano.
Poi vi lasciano lì, gonfie di botte a ciondolare sul marciapiede, senza ricordare nemmeno come si mette un piede davanti all'altro. Riuscite a immaginarlo?
Ad Alice Selbold è accaduto sul serio.
Da questa esperienza distruttiva, covata ed elaborata nell'arco di tutta la vita, la Sebold ha tratto il bellissimo romanzo Amabili Resti. Ma in quel romanzo non c'è la sua storia.
La sua storia, la sua esperienza come vittima di stupro, la sua elaborazione mai definitiva, e il suo essere diventata voce di chi ha paura di parlare, sono i contenuti di Lucky.
Una testimonianza per coloro che hanno subìto violenza ma anche per tutti quelli che non l'hanno subìta.
Una storia di vittimismo, di quanto è ingiusto il destino e crudele colui che decide di stuprare? No.
In Lucky c'è tenacia e desiderio di vendetta, profondo smarrimento, voglia di giustizia, e persino pietà per il criminale che le ha cambiato la vita per sempre.
"La storia dei baci fa ancora male. Tante volte, il fatto che io abbia ricambiato i baci del violentatore solo dietro suo ordine sembra non avere importanza. Ma l'intimità dell'atto brucia. Da allora ho sempre pensato che in un dizionario alla voce stupro bisognerebbe dire la verità. Che non è solo un rapporto sessuale imposto con la forza: stupro significa invadere e distruggere tutto".
La Sebold, che ha scritto questi suoi ricordi nell'arco di molti anni, ha incontrato persone di tutte le età e tutte le provenienze. Durante i suoi discorsi pubblici per mantenere viva l'attenzione su questo tema, ha inaspettatamente conosciuto centinaia di storie uguali e diverse alla sua: un mondo sommerso di cui si fatica a trovare tracce per la paura che c'è di non essere creduti.
"Se resta anonima, la mia storia è solo una storia, non la realtà". Per questo ha deciso di scrivere.
Dopo lo stupro, per la diciottenne Alice Sebold, studentessa di poesia all'università, parte un treno che non si fermerà mai più, fatto prima dall'incredulità dei suoi cari ("Come ha fatto a stuprarti se non aveva un coltello?" le chiederanno), dai dubbi da parte della polizia e dell'incompetenza di chi almeno professionalmente dovrebbe sostenere vittime come lei; poi da sguardi che mutano, persone che scompaiono dalla sua vita, incapaci essi stessi di affrontare quel che è avvenuto; perché lo stupro investe tutti.
Umilianti sono le domande che le vengono poste, atte a screditarla e a suggerire che se la sia cercata, e altrettanto incredibili le motivazioni che le permettono di vincere, finalmente, in tribunale contro il suo assalitore: essere bianca e di buona estrazione sociale; essere stata vestita, quel giorno, con gli abiti dismessi di sua madre; essere vergine; essere una brava studentessa.
Una testimonianza di più di trent'anni fa che non può passare inosservata.
Tutt'oggi, se è diventato più facile vincere in tribunale contro il proprio stupratore, nell'opinione comune la vittoria morale dipende ancora da quanto è convincente la vittima e non da quanto grave si dimostra il delitto.
C'è ancora resistenza a denunciare, timore di non essere credute e paura di essere giudicate. Una convinzione di cui non riusciamo a liberarci del tutto: che il delitto è meno abietto se viene commesso su una persona che "se la va a cercare".