C’è chi arriva da Los Angeles, come Ashley Greene (Esme, mamma Cullen nella saga di Twilight) e volta le spalle alle classiche meraviglie, la potenza del Maschio Angioino, la sfolgorante illusione del lungomare per fermarsi tra facce sorprese al rione Luzzatti dove comincia la storia di Lila e Lenù (Elena), le bambine diventate adolescenti e poi donne nei romanzi di Elena Ferrante. In teoria non c’è molto da vedere. Una scuola, la Chiesa di San Giuseppe Maggiore, l’oratorio. Le finestre del primo piano con le triple sbarre. I panni stesi, le insegne sbiadite. Ma la Napoli degli scrittori è, come dice Giuseppe Di Vaio, fotografo e regista che ha appena inaugurato una mostra quasi commovente a La Reggia Designer Outlet, «è la città delle emozioni, della vita che è mia, tua e potrebbe essere di chiunque. Questo vuole la gente, un pezzetto di verità. Andare dove nascono le storie ».
L’Elena Ferrante Tour (prenotazioni: 081 6041580) è uno dei più richiesti, assicurano al Romeo Hotel, costruito sull’ex impero dell’armatore Achille Lauro, usato per scene e cene di Gomorrala serie (il ristorante «Il Comandante», colpo d’occhio sul porto, ha una stellina Michelin) dove non smettono di essere sorpresi dalla curiosità che suscita la saga dell’amica geniale. La guida, una ragazza Ferrantedipendente, si ferma con scrupolo religioso a leggere un brano in ogni angolo narrato nei libri, una colorata e ammaliante via crucis letteraria. Presto vedremo tutto in televisione: Saverio Costanzo sta girando l’ambiziosa fiction HboRai in un grandioso set a Caserta, ma anche a Napoli, dove interi pezzi di Anni 50 hanno resistito alla furia modernizzatrice. Seguiamo le due ragazzine nel buio tunnel a tre bocche (prima fuga da casa) che le separa dal mare, lungo il Rettifilo (cioè corso Umberto I) dove Lila comprerà il suo abito da sposa, all’Università Federico II, in via Mezzocannone, tra botteghe di antiquari, artisti e bancarelle.
Lenù, impiegata in una libreria, racconta l’aria odorosa «di frittura e inchiostro» (copisterie + stamperie + friggitorie). Profumi, colori e suoni ci sono ancora: siamo dentro il romanzo. Da Piazza Trento e Trieste arriviamo in via Chiaia, il contrario del rione, la Napoli-bene. «Le signore erano diverse da noi si sorprende Lenù sembravano essersi vestite su un altro pianeta, aver imparato a camminare su fili di vento». A un certo punto, il giro diventa anche turistico (impossibile che non lo sia): la Villa Comunale, la riviera di Chiaia, con gli scugnizzi che si tuffano, il Sea Garden, oggi beach club, dove Lenù accompagna a fare i bagni le tre bambine della cartolaia. Guadagna qualche soldo e non le sembra un lavoro. Poi si sale tra Mergellina e Posillipo verso il ristorante, somma di tante terrazze, immaginato per la festa di nozze di Lila e Stefano. Lo sguardo abbraccia il golfo, le ville immerse nel verde, Castel dell’Ovo, Borgo Santa Lucia e «una distesa ondeggiante di blu ricoperto dalla massa incombente del Vesuvio». Si scende da via Posillipo costeggiando la bellezza incompiuta di Palazzo Donn’Anna, abitato, si dice, dalle ombre degli amanti che avevano la sfortuna di essere scelti dalla regina Giovanna D’Angiò e liquidati (non è una metafora) dopo una notte.
Qui la Napoli di Elena Ferrante può incrociare quella di Maurizio De Giovanni, sospesa tra gli Anni 30 del commissario Ricciardi, che ha il doloroso privilegio di vedere i fantasmi e ascoltare le loro ultime parole, e il presente di via Pizzofalcone con l’ufficio (inventato) dei «Bastardi» e dell’ispettore Lojacono. Oggi c’è la città oscura ma carica di energia dei Quartieri Spagnoli, dello spaccio, dei falsi, dei clandestini, parallela a quella finanziaria di piazza dei Martiri.
Ecco la via Egiziaca (in Gelo, serie Pizzofalcone, ci sono due morti), ecco via Solitaria: qualcuno ancora tira su i cestini dal terrazzino. Il lussuoso bordello Anni 30 (Paradiso in Vipera) dove il commissario Ricciardi indaga sull’assassinio incomprensibile di una giovane prostituta, è per metà hotel de charme. L’altra metà è stata comprata dalla leggendaria pizzeria che nel 1898 inventò la Margherita. E c’è una lapide a ricordarlo. In camerino, al Teatro di San Carlo, viene ucciso il tenore Arnaldo Vezzi. In Galleria Umberto I si danno appuntamento gli amanti temerari del romanzo Il senso del dolore. Al Caffè Gambrinus, mangiando sfogliatelle, il commissario Ricciardi e il fido brigadiere Maione discutono di delitti e castighi. Molto tempo dopo ci arriverà anche Lenù, diventata scrittrice, con le sue figlie (in Storia della bambina perduta, quarto e ultimo libro). Uno strato sull’altro, mille vite nascondono il cuore di Napoli. E i turisti (francesi in bicicletta, tedeschi perplessi, americani sbalorditi) inseguono incantati il suo battito veloce, quasi musicale.