Giorgia Lepore, archeologa e storica dell’arte, l’abbiamo imparata a conoscere con il romanzo Angelo che sei il mio custode, vincitore del premio Romiti e finalista al Nebbiagialla. Parlandone subito in termini positivi: un’autrice dal linguaggio ruvido e senza fronzoli, diretto e a volte passionale, che non disdegna le espressioni forti (ma senza mai esagerare), che gioca a rimpiattino con il lettore il quale, pagina dopo pagina, si troverà ingabbiato nella curiosità di vedere come andrà a finire. Insomma, una penna interessante, peraltro benedetta da numeri uno del calibro di Donato Carrisi (“Un’autrice che sa scavare dentro di voi con le parole”) e di Maurizio de Giovanni, che arriva a interrogarsi: “E se fosse lei la nuova, vera grande voce del noir italiano?”.
Giorgia Lepore, si diceva, che è nata a Putignano, in provincia di Bari, il 20 agosto 1969 (“Per il semplice motivo che in questa cittadina c’era uno dei migliori ospedali della zona”), ma che da sempre vive a Martina Franca (Taranto) dove si prende cura - dopo la separazione - delle due figlie: Rosalia di 18 anni e Francesca di 15; lei che, dopo essersi laureata in Archeologia cristiana alla Sapienza di Roma, si era portata a casa una specializzazione e un dottorato in Architettura medievale; lei che attualmente insegna Storia dell’arte al liceo Da Vinci di Fasano, in provincia di Brindisi.
E ancora: lei che aveva iniziato a scrivere nel 2007 (“È stata una folgorazione tardiva, in quanto in gioventù mi ero limitata a qualche poesia e ad abbozzare alcuni racconti”), per poi arrivare sugli scaffali due anni dopo con L’abitudine del sangue, romanzo seguito da I figli sono pezzi di cuore e che ora torna sugli scaffali con Il compimento è la pioggia (pagg. 240, euro 16,00), ventottesimo appuntamento con la Collezione Sabot|Age delle Edizioni E|O. Una collana diretta da Colomba Rossi e nata per raccogliere - secondo il curatore Massimo Carlotto (“Uno dei miei giallisti preferiti in abbinata a Maurizio de Giovanni e al norvegese Jo Nesbø”) - voci, scritture e storie di qualità per dare spazio a una narrativa senza steccati di genere, ma aperta ai contenuti.
Che altro nel privato di Giorgia Lepore? Una passione viscerale per quella penna dissacrante e “maledetta” del francese Jean Arthur Rimbaud (“Per me letteralmente un mito”), interesse peraltro allargato a tutto quello che ha che fare con il mare (in primis il nuoto) e con il cinema; un carattere da leone, come da segno zodiacale (“Sono estroversa e passionale, testarda e leale, certamente generosa, anche se a volte mi lascio andare a eccessi d’orgoglio”); una robusta capacità nell’imbastire intriganti storie di fantasia, attingendo dal nero che c’è in noi e sulle negatività legate all’infanzia. Quasi sempre ambientando le sue trame nei luoghi che conosce bene, “nel rispetto del loro stato e della loro topografia reale”, dove dà voce a personaggi segnati dalla vita.
Come nel caso dell’ispettore Gregorio (Gerri) Esposito, una figura ben tratteggiata e con amari sussulti di passato a tenere banco. Un poliziotto che, nonostante abbia rischiato la vita per via di un proiettile che gli aveva trapassato la testa, è rimasto tuttavia sempre lo stesso: un uomo scomodo che non rispetta le regole e le procedure, portatore di un grande fiuto, che vive male il fatto di aver dovuto smettere di fumare, che si deve confrontare con brusche insonnie e che le rogne sa bene come affrontarle. In buona sostanza una figura burbera ma buona: poteva essere altrimenti visto che aveva scelto questa professione, ai tempi del collegio, preferendola a quelle del medico e del prete? Una scelta forse imparentata con la sua ossessione di voler cercare di capire le cose, attenendosi per quanto possibile a regole razionali.
Insomma, una persona corretta. Alla stregua della sua “madre putativa”, Giorgia Lepore appunto, la quale tiene a precisare che questo suo ultimo lavoro non sarebbe mai nato se non avesse letto La promessa di Friedrich Dürrenmatt, uno dei noir più belli in cui si sia imbattuta. Con ringraziamenti complici a Mariano Casciano, “che questo romanzo me l’aveva fatto conoscere”, e ad Antonio Russo De Vivo, “che me lo aveva regalato anni fa”. Ferma restando l’ispirazione legata alla canzone Solo mia di Vinicio Capossela, “dalla quale sono stati tratti i versi che si trovano sparsi in fondo ad alcuni capitoli”.
Detto questo, spazio alla trama che si sviluppa nell’arco temporale che va dal 6 dicembre al 7 gennaio e che risulta incentrata su un brutale omicidio: quello di una giovane donna uccisa a Bari Vecchia nella fascinosa notte di San Nicola e il cui corpo viene trovato, nella sua piccola casa, orrendamente dilaniato. E intorno al cadavere tracce della presenza di bambini: giocattoli, biberon, vestiti. Bambini (Jennifer di cinque anni e il piccolo Kevin) che sembrano scomparsi nel nulla, ma che in realtà si sono soltanto nascosti in una cassapanca. E proprio Jennifer, più matura di quanto ci si possa aspettare dalle sue poche primavere (“È il mio personaggio preferito, benché sia stato complicato entrare nella sua lunghezza d’onda, assieme a quello di Graziella”, sorella di Nicola Laforgia di cui parleremo fra poco), stabilirà con il nostro tormentato ispettore un legame profondo “nel quale l’uno si specchia e si riconosce negli occhi dell’altra”.
Il quale Esposito - facciamo un passo indietro - era arrivato per primo sul luogo del delitto, seguito dal suo responsabile, il vicequestore aggiunto Alfredo Marinetti, e dall’ispettrice Sara Coen, con la quale Gerri ha un rapporto che si fa sempre più complicato. Una collega che non sembra ad esempio dispiaciuta di farsi abbagliare dal fantomatico fidanzato della vittima (Nicola Laforgia, appunto), un bell’uomo dagli occhi azzurri e dai capelli biondi, una via di mezzo fra Brad Pitt e Paul Newman. Senza trascurare - tanto per completare il quadro - che nella storia entra anche un altro personaggio femminile, Milly, una prostituta di colore madre di un bambino di due anni, conosciuta dal nostro protagonista quando “la notte apre le porte all’imprevisto”.
Ovviamente, secondo logica narrativa, la storia si allargherà anche ad altri quartieri periferici della città, in quanto sono due le zone d’ombra al centro della narrazione. E mentre l’indagine - che ruota attorno, lo si sarà capito, a tematiche familiari forti - si dipana alla belle e meglio, la Puglia e il suo capoluogo vengono investiti da un’insolita nevicata, che alla fine lascerà il posto alla pioggia. Come da titolo. A prima vista non particolarmente accattivante e per certi versi enigmatico se non fosse che si rifà a un proverbio arabo che l’autrice riporta in prima battuta: Le nuvole sono una promessa. L’adempimento è la pioggia.
Per farla breve, ancora una volta Giorgia Lepore dà voce a una vicenda infarcita di violenza domestica e segnata da un’infanzia violata. Quell’infanzia che l’ispettore intende “ricostruire e recuperare da qualche parte nei suoi ricordi perduti”. Cercando di farsene una ragione. Risultato? Un caso a prima vista di facile soluzione (ma niente va mai dato per scontato), peraltro ben gestito da una penna capace di arricchire la scena di sapienti indizi. Fermo restando, ci mancherebbe, il ruolo della giustizia: non solo quella che porta ad applicare le leggi, ma anche quella fai da te del protagonista che non si fa scrupoli a interpretarla a uso e costume delle situazioni.
Detto questo, alcune note sul domani narrativo della nostra autrice, peraltro ricco di novità. “Sto infatti scrivendo tre libri in parallelo, un noir e due romanzi di tutt’altra infarinatura. In effetti le idee non mi mancano. Semmai mi manca il tempo, che mi vede scrivere a spizzichi e bocconi, soprattutto di sera e di notte. Ma quando sono in dirittura d’arrivo di un libro mi do delle regole ben precise e non mi concedo distrazioni in quanto il lettore merita rispetto”. Quegli stessi lettori che le hanno regalato complimenti mica da tutti. “Ad esempio una donna mi ha fatto presente che leggendo una mia storia si era messa a piangere, mentre un uomo mi ha posto un più che gratificante interrogativo: Ma come fa a entrare così bene nella testa maschile?”. La risposta la diamo noi: perché sa scrivere.